Apriamo quelle gabbie

Animali in gabbia

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Apriamo quelle gabbie


Di Antonino Morabito*

In Europa, nascosti alla vista, 300 milioni di animali trascorrono la loro esistenza rinchiusi in spazi angusti. L’alleanza di necessità tra uomini e animali, iniziata con la domesticazione, è stata spezzata e l’allevamento intensivo ha trasformato quell’antico rapporto in una storia di carnefici e vittime. Eppure, nel continente, ci sono oltre 140 milioni di ettari di foreste, pascoli e aree incolte


Sono sempre più numerosi gli studi scientifici che evidenziano come la maggior parte delle specie animali provino emozioni allo stesso modo degli esseri umani e la stessa normativa europea (Trattato di Lisbona, 2009) ha riconosciuto gli animali come esseri senzienti, eppure continuiamo a tenerne prigionieri in gabbia, a vita, milioni. Perché?

Quasi tutti, oggi, credono che per allevare ci sia bisogno delle gabbie, come fosse una sorta di male necessario e insuperabile. Quasi tutti, però, preferiscono non vederle queste gabbie, per non vedere le ferite che provocano o il fatto che impediscono il minimo movimento. Nessuno vuole sentire i lamenti degli esemplari reclusi, pochissimi immaginano quanto può essere irrespirabile l’aria dove si accumulano gli inevitabile escrementi. E quindi, meglio non approfondire.

Vittime e carnefici

Sono trascorsi migliaia di anni da quando è iniziata la domesticazione, da quando tra l’uomo e alcune specie animali è iniziata un’alleanza di necessità – per la reciproca sopravvivenza, accompagnata spesso da vite condivise in viaggio, come nomadi o transumanti – le cui storie e tracce erano vive anche in Italia fino al secolo scorso. Oggi, invece, di quella lunga alleanza è quasi impossibile trovare riscontro nelle campagne, apparentemente del tutto prive di animali, come accade nella pianura Padana, che è piena, però, di capannoni necessari per nascondere alla vista milioni di animali, chiusi in spazi angustissimi. Animali fatti nascere tramite inseminazione artificiale per sopravvivere, per il periodo stabilito, in sofferenza, in un contesto che spesso si caratterizza come incubatoio di miliardi di batteri in un brodo antibiotico necessario a mantenere in vita gli animali prima della macellazione.

Eppure, in Italia ci sono 11 milioni di ettari di foreste e diversi milioni di ettari di campagne, tra pascoli ed aree incolte, e sono oltre 140 milioni gli ettari di copertura forestale europea. Quella stessa Europa in cui, ogni anno, sono 300 milioni gli animali prigionieri di gabbie,  immobilizzati e privati della possibilità di esprimere qualsiasi comportamento naturale.

Proprio la gabbia è lo strumento che più di ogni altro caratterizza l’allevamento intensivo, lo strumento necessario a togliere all’animale quasi tutto ciò che lo avvicina a noi per renderlo, se possibile, “inanimato” e che ha trasformato l’alleanza tra viventi solo in una storia di carnefici e vittime. Non esistono gabbie che consentono benessere agli animali, lo comprendiamo tutti se pensiamo ad altri animali con cui, ancor oggi, abbiamo mantenuto un’alleanza: terremmo in gabbia il nostro cane? Mai, la gabbia è la privazione totale della libertà che è parte essenziale della vita.

Cambiare è possibile

Qualcosa, però, inizia a muoversi. Alcuni timidi passi per spezzare questa spirale di crudeltà avviata nei primi decenni del 1900 sono già stati compiuti: nel 2004 è stato introdotto il regolamento che stabilisce l’obbligo di etichettatura delle uova in guscio secondo il metodo di allevamento delle galline ovaiole. Da quando è in vigore il regolamento il 30% delle galline italiane è passato dall’allevamento in gabbia a sistemi più rispettosi del loro benessere. Nel 2007 è stato adottato a livello europeo il divieto di allevare i vitelli in box singoli; nel 2012 è entrato in vigore il divieto delle gabbie di batteria per le galline ovaiole, l’anno successivo il divieto parziale delle gabbie di gestazione per le scrofe e nel 2017 il Parlamento europeo ha votato una relazione a favore dell’eliminazione delle gabbie e per l’introduzione di una legge specie-specifica.

Lo scorso ottobre Legambiente, insieme ad altre 18 associazioni italiane e ben 130 associazioni europee, ha lanciato l’Iniziativa dei Cittadini Europei “End the Cage Age” (Stop all’era delle gabbie) che chiede la fine dell’uso di ogni tipo di gabbia per allevare animali a scopo alimentare. Dobbiamo raccogliere, entro settembre 2019, oltre un milione di firme (siamo già oltre 190.000 firme raccolte) affinché la Commissione Europea si pronunci su questo argomento, per portare un enorme cambiamento nel sistema della produzione di cibo.

La battaglia contro questa forma di violenza è una battaglia sacrosanta e di civiltà. In questo senso l’iniziativa dei cittadini europei per dire basta alla prigionia delle gabbie è una grande sfida e per questo, invitiamo tutti a firmare e a far firmare quanti più amici e conoscenti possibile, così che il prossimo Parlamento europeo tenga adeguatamente conto della richiesta che arriva da tutti noi in nome e per conto di milioni di altri esseri senzienti che non hanno voce per chiederlo.

*Responsabile nazionale Ambiente e Legalità, Cites, Fauna e benessere animale di Legambiente