Almere, la città giardino emersa dal Mare del Nord

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Almere, la città giardino emersa dal Mare del Nord

Di Francesco Fantera

Almere, a mezz’ora da Amsterdam, sembra una città del futuro, disegnata secondo criteri di vivibilità e sostenibilità di alto profilo, sotto la guida di grandi architetti

Grandi aree verdi, servizi decentrati e partecipazione diretta della cittadinanza alle scelte urbanistiche di medio-lungo periodo. Il sogno a occhi aperti di un gruppo di architetti che vogliono progettare una città del futuro secondo moderni criteri di vivibilità e sostenibilità? Quasi. Siamo ad Almere, 200mila abitanti a mezz’ora di macchina dal centro di Amsterdam, capitale di uno Stato che da secoli guarda al mare non solo come via di comunicazione e sostentamento, ma anche di spazio vitale. A testimoniarlo è il suo stesso nome: Paesi Bassi. Più di un quarto del suo territorio, infatti, si trova al di sotto del livello del mare e solo la metà va oltre 1 metro di altezza. Un dato orografico per noi impensabile, che ha determinato lo sviluppo del territorio grazie anche alle capacità ingegneristiche dei suoi abitanti. La storia olandese è infatti scandita dalla costruzione di dighe come la Afsluitdijk, barriera di 32 chilometri completata nel 1932, che ha dato vita ad un enorme bacino d’acqua interno. La realizzazione di queste infrastrutture, iniziata in scala ridotta già nell’alto medioevo, ha permesso di guadagnare in modo lento ma costante grandi aree prima ricoperte dall’acqua e trasformatesi successivamente in campi coltivati se non addirittura in vere e proprie città. E Almere ne è appunto la dimostrazione.

STORIA E CONCEPT

Se fino agli anni ’50 del secolo scorso vi foste affacciati sulla grande laguna interna nota come IJsselmeer, avreste visto una immensa distesa di acqua e nulla più. Oggi la stessa zona è occupata dall’ottava città olandese in ordine di grandezza, un centro dove la sperimentazione di nuovi modi di abitare attira architetti, politici e urbanisti da tutto il mondo. Andiamo con ordine. Almere, antico nome medievale del mare interno dove oggi sorge la città, ha visto i suoi primi cittadini arrivare alla fine degli anni ’70. Dietro al progetto ci fu l’intenzione delle istituzioni olandesi di diminuire la pressione abitativa che gravava sulle periferie di Amsterdam e Utrecht. Date le caratteristiche del terreno e il grande spazio a disposizione, si decise di prendere come riferimento due città giardino costruite all’inizio del ‘900 poco a nord di Londra: Letchworth Garden City e Welwyn Garden City. Queste due realtà presero forma a partire da una serie di principi: abbondanza di spazi pubblici, abitazioni realizzate secondo gli standard costruttivi più moderni, scuole e ospedali diffusi, trasporto pubblico efficiente e prossimità fra le aree residenziali e spazi verdi. A prendere ispirazione da queste linee guida con l’intenzione di tradurle in realtà ad Almere, fu l’architetto olandese Rem Koolhaas, uno dei più noti del Paese. Trattandosi di un piano di sviluppo urbano all’avanguardia e opposto alla tipologia in voga all’epoca, quella di città ad alta densità dominate dai grattacieli, l’idea non venne accolta a braccia aperte dalla comunità dei progettisti. Nonostante ciò le istituzioni diedero fiducia allo studio di Koolhaas (l’OMA, Office of Metropolitan Architecture) che ebbe così modo di sviluppare il suo progetto imperniato su una città a tre livelli. Il primo nel sottosuolo e dedicato ai parcheggi per le auto; il secondo, al piano terra, riservato ad attività commerciali, ricreative e servizi; il terzo localizzato ai piani superiori degli edifici e destinato ad abitazioni e piccoli condomini circondati da terrazze sopraelevate e ricche di verde. E proprio lo stretto rapporto fra costruito e ambiente, elemento cardine del masterplan iniziale, venne declinato in un modo semplice ed efficace: nella sola area municipale si contano 40 chilometri di costa e 400 chilometri di piste ciclabili. Nonostante l’attenzione quasi maniacale alla vivibilità della nuova città, i dubbi della comunità di architetti restarono forti per un altro motivo: la decisione di coinvolgere gli abitanti, riservando loro un ruolo chiave nello sviluppo di Almere. Ma in realtà proprio questa, nonostante lo scetticismo, si rivelò una delle principali chiavi del successo e della risonanza mondiale del progetto che diede vita al centro abitato una cinquantina di anni fa.

ALMERE OGGI

Se la città è diventata simbolo della capacità di progettare e creare un ambiente urbano a misura d’uomo, lo deve in particolare ad alcuni quartieri. Fra questi troviamo certamente Regenboogbuurt, nome difficilmente pronunciabile e traducibile in “quartiere arcobaleno”. Il motivo? La presenza di tantissimi edifici caratterizzati da una palette di colori vivaci che conferisce al sobborgo note brillanti e opposte al cielo spesso plumbeo dei Paesi Bassi. Caso ancor più particolare quello del De Fantasie (“la fantasia”). La zona è il quadrante certamente più eccentrico di Almere. Questo si deve in primis alla scelta delle istituzioni locali di lanciare nel 1982 un concorso architettonico caratterizzato da requisiti molto stringenti e a dir poco particolari: edifici senza fondamenta e forte attenzione all’abilità dei proponenti di mixare i materiali costruttivi dando vita a forme dalle geometrie variabili. Una scelta che ha distinto l’area ancora oggi per il suo stile stravagante e originale.

ALMERE DOMANI

“È l’interazione fra sperimentazione e tecniche collaudate che ha reso Almere una realtà così affascinate agli occhi di esperti e cittadini comuni” racconta alla BBC Winy Maas, uno dei partner fondatori dello studio olandese di fama internazionale MVRDV. Il team di progettisti è stato incaricato di dar vita al masterplan Almere 2030 con l’obiettivo di definire il modello attorno al quale costruire il futuro della città. Anche qui a fare da protagonista saranno gli stessi abitanti: “credo fermamente che un ambiente urbano non debba nascere dalla visione di un singolo– sottolinea Maas – ma venga invece molto valorizzato dallo scambio di idee fra più individui e organizzazioni”. Una scelta, questa, che si traduce nella possibilità per i residenti di scegliere il design delle nuove abitazioni e di partecipare attivamente alle decisioni circa la realizzazione di infrastrutture e servizi. Per realizzare il masterplan “è stata chiesta ai cittadini la loro visione della città da qui a 10 anni. Per favorire una partecipazione più consapevole – racconta l’architetto olandese – abbiamo fornito una sorta di cassetta per gli attrezzi composta da documenti ed esempi concreti. In sostanza il futuro di Almere non è stato incardinato ad un progetto chiuso e pronto per l’uso, ma abbiamo scelto di coinvolgere i residenti nella progettazione in semi autonomia dei propri quartieri. Ad alcuni potrebbe sembrare una scelta quasi radicale, ma in realtà è proprio così che le città sono state costruite nel passato. In assenza di piani regolatori centralizzati – ricorda Maas – per secoli gli stessi abitanti si sono fatti carico dell’espansione ed evoluzione dei centri urbani e la prova ne è l’evidente stratificazione architettonica che si palesa in particolare nelle città più antiche”.