Animali in Città

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Animali in Città


di Antonino Morabito

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La crescente urbanizzazione in Italia ha portato con sé un profondo cambiamento nella relazione tra uomo e animali, sia domestici che selvatici. Basti pensare al numero crescente di animali da compagnia che oggi vive nelle città: oltre 60 milioni di esemplari tra cani, gatti, canarini, pesci e cosiddetti “non convenzionali”, ossia conigli, criceti, iguane ecc. Ci sono poi anche le specie cosiddette aliene o alloctone, arrivate in Italia per motivi ornamentali o commerciali oppure come accompagnatori indesiderati di altre merci: la testuggine orecchie rosse, lo scoiattolo grigio, la zanzara tigre e tante altre specie vegetali o animali sempre più diffusi.
Ad arricchire questo panorama ci sono poi gli animali selvatici autoctoni per i quali le città, crescendo ed occupando nuovi spazi, diventano sempre più luogo di attrazione: non solo ratti e topi, ma anche gabbiani reali, storni, volpi, cinghiali che utilizzano le città trovandovi rifugio, cibo e minori rischi di predazione.
E’ proprio qui, allora, nei centri urbani, che è importante valutare e ripensare le politiche e le modalità di convivenza con queste specie, per il benessere degli uomini e degli animali.
Dall’ultimo rapporto di Legambiente, Animali in città, realizzato con l’obiettivo di indagare su quanto e come Regioni e Comuni stiano facendo per gestire questa coesistenza, in parte voluta e in parte subita, emerge un quadro variegato, con profonde differenze tra le regioni del Nord, del Centro e del Sud. Anche le competenze in materia sono parcellizzate tra Stato, Regioni e Comuni e se le principali norme di settore riguardano la tutela di cani e gatti (L. 281 del 1991) e la tutela della fauna selvatica omeoterma (L.157 del 1992 relativa solo a mammiferi e uccelli), non c’è invece alcuna legge nazionale organica che regolamenti in modo unitario la convivenza tra uomini e animali negli oltre ottomila comuni italiani.

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Eppure questo settore muove cifre imponenti e coinvolge affettivamente e concretamente milioni di persone. Nel 2015 la spesa affrontata dalle amministrazioni comunali e dalle aziende sanitarie per la gestione degli animali (d’affezione e non) nelle nostre città è stata pari, complessivamente, a 245 milioni. Sicuramente troppo rispetto ai risultati raggiunti, anche perché buona parte dei costi è assorbita dai canili rifugio, strutture indispensabili secondo il modello attuale, ma fallimentari rispetto al benessere animale e alla prevenzione del randagismo. Più di un terzo dei comuni e la quasi totalità delle aziende sanitarie locali ha attivato uffici e/o assessorati dedicati agli animali ma alla prova dei fatti, sono pochissime le realtà in grado di dare risposte celeri ed esaustive ai problemi che possono sorgere nei centri urbani nella quotidiana convivenza con gli animali, tra queste si distinguono in positivo Terni, Peschiera Borromeo (MI), Formigine (MO) e l’attività dell’azienda sanitaria Napoli 1 Centro. Secondo i dati forniti dagli enti preposti, in Italia risultano 108 canili sanitari, 48 gattili sanitari, 173 canili rifugio, quasi 16mila colonie feline, 1.246 aree urbane per cani, 244 pensioni e 131 allevamenti di cani, 143 campi di educazione e addestramento cani.

Il randagismo rappresenta l’elemento principale di sofferenza e conflittualità e il costo economico più significativo a carico della collettività. Ma quanti tra i cani vaganti che vengono catturati rimangono a soffrire nei canili rifugio e quanti, invece, trovano un padrone o sono reimmessi sul territorio come cani liberi controllati? In media, secondo le amministrazioni comunali e le Asl, su 4 cani catturati, 3 hanno trovato nel 2015 una felice soluzione. Ma l’indagine restituisce situazioni locali molto diverse, con performance decisamente positive in molte città del Nord e pessime al Sud (le peggiori nel ricollocamento dei cani risultano essere Campania, Sicilia, Calabria, Basilicata).

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Quasi la metà dei Comuni italiani ha adottato un regolamento per la corretta detenzione degli animali in città, mentre l’accesso ai locali pubblici e negli uffici è regolamentato in poco più di un comune su 9 (nell’11% dei casi). Pochi i comuni costieri che hanno regolamentato l’accesso alle spiagge (il 6%), come quelli che hanno normato l’arrivo e la sosta di spettacoli con animali (9% del totale) o gli spettacoli pirotecnici (12%). Solo il 7% ha adottato un regolamento per contrastare il triste fenomeno delle esche e dei bocconi avvelenati che si sta palesando in molte città.

Infine, diversi segnali indicano che stanno crescendo rapidamente di numero altre specie animali, purtroppo non solo domestiche - roditori, rettili, uccelli, invertebrati - alle quali stiamo assegnando, indipendentemente dalle loro esigenze etologiche e spaziali, la funzione di animali da compagnia. In molti casi, queste specie sono costrette a vivere, loro malgrado, in contesti artificiali, dove le criticità emergono in pochissimo tempo, producendo enormi sofferenze animali e costi sociali ed economici crescenti. E’ evidente quindi, l’urgenza di una strategia pubblica che sappia ridisegnare nazionalmente la gestione degli animali in città, per tutelare davvero il loro benessere e ridurre al minimo gli elementi di conflittualità. Occorre fare meglio di quanto sia stato fatto finora, perché la situazione è drammaticamente disomogenea e carente su molti fronti, nonostante l’ingente spesa pubblica e il lavoro messo in campo dagli enti più virtuosi. Occorre, poi, essere in grado di controllare l’applicazione di norme e regolamenti, perché anche la regola migliore senza un adeguato e regolare controllo perde la sua efficacia.

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