Biancone - Il mangiatore di serpenti venuto dall'Africa
Testo e foto di Roberto Guglielmi
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La vita quotidiana del biancone, il rapace dalle grandi ali che si nutre quasi esclusivamente di ofidi
Ho cominciato ad occuparmi seriamente di Bianconi poco più di 10 anni fa. Era il 2006 quando, come responsabile scientifico dell’Eko-Centar “Caput-Insulae” di Beli, sulla splendida isola croata di Cres, scoprii il mio primo nido di Biancone Circaetusgallicus, la cosiddetta aquila dei serpenti. Quell’anno GoranSušić, il Direttore del Centro mi affidò, oltre alla responsabilità scientifica del Centro stesso, anche il monitoraggio della popolazione di bianconi nidificanti sull’isola, una frastagliata e tagliente cresta calcarea, sferzata dalla bora – nonché semiarida, fuorché nella parte settentrionale –affiorante dal mare, stretta e lunga, sviluppata in senso longitudinale per una lunghezza complessiva di 65 km e una superficie di 405 kmq, con una larghezza massima di 13 km, che nei tratti più stretti si riduce ad appena 2 km.
In questo ambiente roccioso, segnato da cinte infinite di muretti a secco, usati per delimitare i pascoli e impedire nel contempo alle pecore di sconfinare, ho imparato l’arte dell’attesa, il godimento della contemplazione, quella che, secondo Schopenhauer, riesce sia pure per pochi attimi a sottrarre l’uomo all’angoscia del vivere.
Oltre a tutto questo, lì ho imparato a conoscere i tempi e i modi di vita di questo uccello rapace davvero straordinario, che ha una dieta alquanto singolare per la sua estrema specializzazione. Come anticipato, si nutre in prevalenza di ofidi, ossia serpenti, vertebrati senza zampe. L’isola di Cres, con i suoi versanti pietrosi e aperti, ricchi di nascondigli naturali, brulica di serpenti (peraltro non velenosi) ed è sufficientemente dotata di vegetazione arborea adatta alla nidificazione del nostro Biancone, per la nidificazione.

Prede vive e siti di nidificazione
I bianconi, infatti, come tutti i rapaci, hanno bisogno di due cose: prede vive e siti di nidificazione. Sono questi i due principali fattori limitanti la sopravvivenza e la riproduzione delle popolazioni di uccelli da preda. Trovare un posto sicuro dove nidificare non è facile per nessun uccello, ma in questo i rapaci sono molto più esigenti rispetto agli altri membri della classe Aves, avendo adottato criteri di selezione del sito di nidificazione molto severi. I possibili siti devono rispettare rigidamente determinati requisiti, che variano in funzione della specie, ma che consentono comunque agli adulti - e in seguito anche al piccolo - la tranquillità più assoluta durante le lunghe fasi dell’incubazione delle uova e dell’allevamento dei pulli (così si chiamano i piccoli nidiacei) al nido. I rapaci, in genere, sono diffidenti nei confronti dell’uomo (salvo famose eccezioni, come i grillai Falco naumanni, che nidificano sotto le tegole delle antiche case a Matera) e tendono ad avere distanze di fuga elevate; ciò è tanto più vero durante la nidificazione, quando molte specie sembrano letteralmente eclissarsi. Ho sempre ammirato la capacità che ha il Biancone - un bestione che può arrivare a 180 cm di apertura alare - di eclissarsi durante la nidificazione, di scomparire alla vista, a dispetto delle dimensioni, facendo credere a chi lo cerchi che sia del tutto assente da una certa area, dove pure l’habitat si presenta adatto e dove pure il ricercatore stesso lo aveva potuto osservare con relativa facilità prima che iniziasse a nidificare.
E allora, come fare per poterlo studiare? Non vi è altra soluzione che quella di mettersi in attesa su di un poggio, in alto, nell’habitat adatto, sperando che prima o poi arrivi, dimentichi delle ore che passano impietose, degli impegni e di quant’altro possa allontanare la mente del ricercatore dall’obiettivo che si è autoimposto. A marzo i bianconi arrivano dall’Africa, puntuali come mai potrebbe essere nessun treno, seguendo chissà quali vie celesti, che solo da pochi anni i ricercatori cominciano a ricostruire pazientemente con l’uso di GPS ed altre sofisticherie. Quando arrivano bisogna essere sul posto, pronti ad osservarli, perché loro cominciano subito: scelgono la chioma di un albero, in genere un sempreverde – un LeccioQuercusilex, un Pino Pinusspp. - o più raramente un Castagno Castanea sativa o altra pianta arborea a foglie caduche, purché provvista di rampicante sempreverde e avvolgente. Una volta scelto l’albero, i due membri della coppia cominciano a portare rami per costruire in pochi giorni una piccola struttura che funge da nido, ben nascosta e invisibile da lontano. In questo giaciglio - assolutamente occultato alla vista di chiunque – la femmina depone un solo uovo, nel mese di aprile. Si capisce ora la scelta dell’albero sempreverde: la femmina inizia a covare il suo unico uovo subito dopo averlo deposto, ad aprile, quando gli alberi decidui sono ancora senza foglie, per cui il rischio è quello di avere una struttura del nido che, benché piccola, salta all’occhio nell’intrico di rami ancora spogli.
Se si perde questa “finestra temporale”, c’è il serio rischio che il ricercatore debba aspettare - per rivedere il biancone e sperare di trovarne il nido - i mesi di giugno e luglio, quando il pullusè ormai nato e va alimentato. Ma non si creda a questo punto che sia facile vedere atterrare sul nido il grosso rapace con la serpe nel becco. In media l’attesa del ritorno al nido, da parte del Biancone con la preda, si aggira intorno alle 5 ore. Finché la femmina è impegnata nella cova, che dura intorno ai 45 giorni, regna il silenzio più assoluto attorno al nido e il maschio vi fa ritorno un paio di volte al giorno, giusto per vedere come tutto procede e per consegnare alla femmina il pasto (il solito serpentello), consentendole altresì di sgranchirsi le zampe. Prima che la femmina deponga l’uovo, se si è fortunati e ostinati, può capitare di assistere alla copula: a me è successo due volte sul Monte Pisano (917 m s.l.m.), dove nel 2009 trovai il primo nido di Biancone mai conosciuto dagli ornitologi in quell’area.

Il nido era su un Pino marittimo Pinuspinaster, ad un’altezza di 8 metri a 460 m sul livello del mare. Sapendo che il Biancone può riutilizzare lo stesso nido per più anni, mi organizzai con il mio amico Alessandro Salvini, fotografo naturalista di rara bravura, per costruire, nell’inverno 2010-2011, un capanno mimetico perfettamente nascosto tra i cespugli e gli alberi ad una distanza di 25 m da questo nido, con la speranza di poter documentare fotograficamente le diverse fasi di una nuova, futura nidificazione. Con nostra grande gioia l’evento della nidificazione si ripetette proprio nel 2011 in quel nido, che i bianconi giudicarono di nuovo adatto, dopo due anni. Fu così che riuscimmo a seguire l’intera nidificazione da vicino, senza essere visti dai rapaci, raccogliendo preziosi dati scientifici sul ruolo dei sessi durante l’allevamento del pullus e scattando foto per documentare il tutto. Trascorrevo in certi casi 8-9 ore fermo in questo capanno, attendendo per diverse ore l’arrivo dei bianconi, ma l’emozione era enorme quando vedevo atterrare il maschio con la preda oppure la femmina con un ramo verde, portato per rinforzare il nido o per renderlo maggiormente mimetico. Finché il pullus era ricoperto di piumino, era la femmina che amorevolmente lo nutriva staccando dei pezzettini di carne dal serpente portatole dal maschio mentre, dai 20 giorni di vita in poi, il pullus riusciva ad ingoiare da solo colubri lunghi circa un metro, con una operazione che poteva durare anche 20 minuti in totale. Quell’anno perdemmo il momento dell’involo, ma seguimmo il piccolo fino a pochi giorni prima che lasciasse il nido, immortalandolo in tutto il suo splendore, con il piumaggio ormai completo e le belle ali tutte distese, durante le frequenti prove di volo.
Lasciato il Monte Pisano, dopo qualche anno ho ripreso a cercare i miei bianconi in Veneto, dove mi sono trasferito per seguire la mia avventurosa vita da insegnante itinerante. In questa regione mi sono scelto l’area di studio dell’Alto Trevigiano, dove avevo letto che sui Colli Asolani era stata segnalata una coppia di bianconi. Contattai Gianfranco Martignago, decano dell’ornitologia veneta, e primo ad aver segnalato la specie in quest’area. Con lui ed altri grossi nomi, come Francesco Mezzavilla, ho messo su un gruppo di ricerca per studiare il Biancone sui Colli Asolani e sui Colli Trevigiani, in un’area di studio che comprende tre fasce: collinare, pedemontana, prealpina e che si estende per una trentina di chilometri, da ovest a est.
Così, dopo intense ricerche, il 2 giugno 2015 ho localizzato il nido della coppia di bianconi dei Colli Asolani, seguendo l’allevamento del pullus fino all’involo, avvenuto ai primi di agosto. Nel 2016, proseguendo le ricerche, ho trovato, insieme al collega ornitologo Angelo Nardo, un altro nido attivo, di un’altra coppia di bianconi, a 26 km di distanza da quello dei Colli Asolani. Nel 2017 la ricerca continua, alla scoperta di un terzo nido che dovrebbe trovarsi – stando alle mie più recenti osservazioni di bianconi nell’area di studio - più o meno a metà strada tra i primi due. E così passo le mie giornate libere: sto tutto il tempo sul campo, da marzo ai primi di settembre, con l’attrezzatura ottico-fotografica da naturalista “documentatore”, nei territori di nidificazione del Biancone, a godermi lo spettacolo di un rapace unico, che non ha eguali in tutta Europa e che mi spinge a cercarlo sempre di più, con la sua agognata, gratificante - ancorché fugace - presenza.
Biancone - Il mangiatore di serpenti venuto dall'Africa
Testo e foto di Roberto Guglielmi*
*Dottore in Scienze Naturali, Dottore di Ricerca in Biologia Evoluzionistica e Professore di Scienze Naturali
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