Dissolvere l’economia nel sociale. Intervista a Serge Latouche

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Il pensatore della decrescita serena spiega la necessità di uscire dall’idea dell’economia produttivistica e dissolvere l’economia nel sociale contro la mercificazione del mondo.

di F. Fantera

Da anni Serge Latouche lancia instancabilmente un messaggio che in troppi si ostinano ad ignorare: il modello economico sul quale poggia la struttura della nostra società è ormai esaurito.  Se non cambiamo subito direzione, poi non ci sarà più tempo per farlo.  E le conseguenze sono immaginabili.  Non siamo alla catastrofe e non è un messaggio terroristico. Anzi.  E’ un richiamo alla vita e ai suoi valori più profondi e importanti.  E siamo ancora in tempo a cambiare le cose: basta che lo vogliamo davvero e che la politica prenda una direzione radicalmente diversa. In ‘Breve Trattato sulla Decrescita Serena” del 2007, sintetizza gli sforzi per cambiare rotta in pochi passi, le ‘otto R’: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.  E per passare all’atto pratico, ipotizza una sorta di programma politico che si proponga di trasformare gli aumenti di produttività in riduzione del tempo lavorativo e in creazione di nuovi posti di lavoro. Propone inoltre che, in contrapposizione alla produzione di merci, venga invece stimolata la produzione di ‘beni relazionali come l’amicizia e la conoscenza, il cui consumo non diminuisce le scorte esistenti ma le aumenta’.  Si tratta insomma di far uscire ‘il martello economico’ dalle nostre teste.  Il termine ‘decrescita’ è stato provocatoriamente ideato come uno slogan nel 2001, per contrastare l’imbroglio dello  ‘sviluppo sostenibile’, ossimoro inaccettabile.

Intervistarlo è stato un piacere.  Latouche si concede generosamente e con molta gentilezza all’incontro con chiunque sia interessato ad una riflessione profonda sul suo lavoro.

Se, come lei sostiene insieme a Papa Francesco, la crescita è la religione del nostro tempo non c’è bisogno solo di economisti ma anche di pensatori e filosofi per rivoluzionare i paradigmi della società odierna. Quali devono essere i nuovi pilastri su cui fondare questa nuova civiltà?

Bene, ci sono almeno due risposte a questa domanda. Allora, non solo non c’è bisogno solo di economisti ma anzi, gli economisti sono pericolosi. Dobbiamo uccidere l’economia e c’è bisogno sicuramente di filosofi e di pensatori  ma soprattutto non di economisti. E allora quali sono i nuovi pilastri? La misura, il limite, la cultura. Dobbiamo ritrovare il senso dei limiti, uscire da questa limitatezza della modernità ma soprattutto della economia produttivista e reincastrare l’economia dentro la società, dentro la cultura, dentro il politico. L’economia deve dissolversi dentro il sociale. Dobbiamo vivere ma non secondo la razionalità economica, dobbiamo ritrovare la saggezza, il ragionevole, non il razionale.

Con la previsione di una crescita annua per l’Italia dello 0,9%, la società della crescita viene meno alla sua ragion d’essere. Come si spiega allora il perseverare in questa direzione?

E’ una cosa incredibile perché anche una crescita dello 0.9 non ha senso, è una stupidità perché il margine di errore delle statistiche è di almeno 2 o 3 punti per avere un senso . Ma siccome l’economia è diventata la religione, l’idolatria del nostro tempo, allora si deve mantenere a tutti i costi il mito della crescita anche se la realtà non c’è più perché viviamo in una società di crescita senza crescita. E questa è una cosa terribile. Tutti i poteri vogliono rimanere nel paradigma e mantenere, dunque, la visione della crescita.  Uscire dalla società della crescita sarebbe una vera rivoluzione, significherebbe anche uscire dal capitalismo.

Lei ha più volte criticato il termine sviluppo sostenibile inventato, a suo dire, proprio per rimanere ancorati al mito della società della crescita che, in tutta evidenza, non esiste più. In che senso questo termine è inventato e in che senso serve a far perdurare l’idea di una crescita infinita?

Allora, sviluppo sostenibile, come ho detto più volte, è un ossimoro: lo sviluppo non è sostenibile. Questa è una invenzione pubblicitaria geniale a partire da coloro che l’hanno inventata che infatti sono tre criminali in colletto bianco:  Henry Kissinger, StephanSchmidheimy e Maurice  Strong. StephanSchmidheimy era il presidente della Eternit ed è conosciuto dagli italiani perché è stato condannato due volte dalla Corte di Torino per la strage di 3000 dipendenti a Casalmonferrato e ha inventato  il World Business Council for Sustainable Development. E allora hanno inventato questo sviluppo sostenibile come slogan che corrisponde esattamente al “Thereis no alternative” della Margareth Thatcher. Allora era la proposta per l’umanità, per tutti e ha funzionato bene. Per questo motivo abbiamo dovuto inventare anche noi uno slogan per contrastare questa impostura dello sviluppo sostenibile. Perciò  abbiamo inventato la Decrescita che all’inizio era uno slogan per dire che, dopo la caduta del Muro di Berlino e il fallimento del Socialismo e del Comunismo,  c’era una alternativa. L’alternativa si chiama decrescita. Esisteva già un progetto alternativo, diversi progetti alternativi, ma mancava una frontiera. La Decrescita è stata la frontiera per sintetizzare i progetti alternativi.

Lei parla di rilocalizzazione in opposizione alla globalizzazione  ma non possiamo non vedere  le opportunità create dalla mondializzazione  come, ad esempio,   l’ibridazione delle culture più diverse. Cosa c’è che non va?

Anche per mondializzazione e globalizzazione si tratta di slogan perché il mondo è mondializzato almeno dal 1492 quando gli indiani hanno scoperto un certo Cristoforo Colombo. Ma quella è la mercificazione del mondo che è  tutt’altra cosa rispetto all’ ibridazione delle culture. Si tratta invece di una omologazione planetaria. Non a caso il sottotitolo del mio saggio L’occidentalizzazione del mondo si chiama proprio L’omologazione planetaria.

Visto che lei parla  di parole chiave, di slogan , di proposte alternative per contrastare il pensiero dominante, non le sembra un paradosso irrisolvibile l’espressione La frugalità è una condizione dell’abbondanza ?

Cosìaveva dimostrato il grande antropologo americano Marshall Salins nel suo libro L’economia dell’età della pietra. Scarsità e abbondanza nelle società primitiva. Qual è la tesi di Salins? E’ che l’unica  società dell’abbondanza nella storia dell’umanità è la società del paleolitico, la società dei cacciatori-raccoglitori. Perché avevano pochi bisogni e potevano soddisfare i loro bisogni con una attività piacevole, cacciare e raccogliere, per molte ore al giorno. Tutto il resto del tempo veniva dedicato alle attività sociali, alla danza, al sogno, a divertirsi in modo altro. Allora la lezione è che l’abbondanza esiste solo se sappiamo limitare i bisogni e i desideri perché quando non ci sono limiti allora non c’è mai soddisfazione perché siamo sempre frustrati. E questo lo sapevano i saggi, lo sapeva Epicuro, lo sapevano pure le saggezze latino americane del Guadalquivir e la saggezza africana. E’ per questo che nella Collana che ho lanciato,I precursori della decrescita,si trovano tutti questi saggi della storia.

Infatti proprio nel passato possiamo trovare tutti gli elementi  di  straordinaria modernità per invertire la tendenza della società contemporanea. In conclusione, proviamo ad individuare  degli esempi positivi e concreti che vanno nella direzione di una società della decrescita serena. C’è qualcosa che si sta muovendo in questa direzione?

Ci sono due livelli.A livello locale ci sono molte iniziative ; in Italia mi viene da pensare ai GAS, Gruppi di Acquisto Solidale, alle Città in Transizione, agli Ecovillaggi. Iniziative come Libera di Don Ciotti o delle cooperative storiche  come la cooperativa di agricoltura biologica Alce Nero. Ci sono poi movimenti a livello nazionale. Penso al Movimento del Guadalquivir  in  Bolivia, all’Ecuador, anche al Movimento dei NeoZapatisti nel Chapas. Per quanto, a livello globale, sono solo un tentativo di far entrare nei programmi della politica nazionale qualche elemento della Decrescita  così come Podemos in Spagna, i 5Stelle in Italia e Syriza in Grecia. Per il momento è solo una tendenza.

Oltre ai suoi scritti, ha qualche autore particolarmente stimolante per i nostri lettori?

Per me rimane sempre molto stimolante Ivan Illich (ndt libero pensatore altermondista).

Ha qualche altro riferimento da suggerire per portare avanti il discorso della Decrescita in Italia sulle pagine di InNatura?

All’interno di queste iniziative, molti fanno parte delle diverse reti della Decrescita in Italia. Per esempio, penso alla Rete della Decrescita Felice dell’amico Maurizio Pallante o all’Associazione per la Decrescita con Marco Deriu e Gianni Tamino che hanno organizzato Il Forum di Venezia o penso alla Conferenza Internazionale Economia della  Felicità appena conclusa a Firenze. Tutti gruppi che hanno assorbito l’idea della Decrescita e cercano di realizzarla attraverso diverse iniziative locali.