Dissesto idrogeologico: prevenire è meglio
di Rosario Mascia

Il dissesto idrogeologica in Italia, si sa, è un problema endemico e i numeri ce lo dicono chiaramente. Il secondo Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia elaborato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che rappresenta l’attuale quadro di riferimento sulla pericolosità delle frane e delle alluvioni in Italia e illustra gli indicatori di rischio relativi a popolazione, edifici, imprese e beni culturali, non lascia dubbi e ci restituisce un’immagine piuttosto inquietante dello stato delle cose nel nostro Paese.
In base ai dati rilevati dall’Inventario dei fenomeni franosi in Italia (IFFI) realizzato dall’ISPRA, il 7,9% del territorio nazionale risulta a rischio frane, per un’area complessiva pari a circa 23.700 chilometri quadrai; numeri, questi, che rendono l’Italia uno dei Paesi europei maggiormente interessati da fenomeni franosi. Si tratta, peraltro, in larga parte di frane caratterizzate da un alto indice di distruttività (basti pensare a quanto avvenuto nel Nord-Ovest italiano appena poche settimane fa), che spesso causano pesanti perdite in termini di vite umane. Altrettanto preoccupante è il quadro tracciato sul fronte delle alluvioni, con 12.405 chilometri quadrati di territorio nazionale esposti ad alta pericolosità idraulica. Tutto questo ha un significato ben preciso: milioni di cittadini sono a rischio frane e alluvioni e l’aumento di fenomeni meteorologici improvvisi e particolarmente violenti (principali responsabili di questo genere di eventi) dovuti ai cambiamenti climatici non farà altro che peggiorare una situazione che nel nostro Paese rappresenta una criticità irrisolta da decenni.
Mitigazione del rischio
Come sottolineato da Fausto Guzzetti, geologo ed ex direttore dell’IRPI (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica) del Cnr, occorrerebbe agire “in primis per la mitigazione del rischio”, attivando strumenti di prevenzione che passano anche attraverso un’adeguata informazione fornita ai cittadini sui comportamenti da adottare in caso di eventi intensivi.
Prevenire significa innanzitutto scongiurare l’enorme numero di perdite di vite umane dovuto ad eventi di questo tipo (i numeri impressionano: 438 vittime dal 2000 al 2018), ma significa anche evitare un inutile spreco di denaro pubblico finora impiegato molto più per riparare o arginare danni già avvenuti piuttosto che per fare in modo che non avvengano.
Secondo alcuni dati, forniti ancora una volta dall’ISPRA, dal 1998 al 2018 l’Italia ha speso circa 20 miliardi di euro per rimediare ai disastri causati dal dissesto idrogeologico (con una media di un miliardo all’anno), a fronte dei soli 5,6 miliardi investiti per progettare e realizzare opere utili per la prevenzione; in sostanza riparare i danni ci costa quattro volte tanto prevenirli e non rappresenta certamente una risoluzione del problema.
Quali interventi
Bisogna piuttosto, secondo quanto sostenuto anche da Legambiente, dare vita a dei progetti di qualità, in grado di far fronte alle nuove sfide che il cambiamento climatico in corso porterà anche sul fronte del dissesto idrogeologico e per fare questo sarà necessario dotarsi finalmente di adeguati strumenti di valutazione e monitoraggio delle aree a più alto rischio. Resta poi inderogabile un intervento serio sul consumo di suolo (che in Italia cresce al ritmo di 14 ettari al giorno, 2 metri quadrati al secondo) capace di rendere più stringenti i vincoli di edificabilità soprattutto nelle zone più esposte a frane e alluvioni, in modo tale da rendere sempre meno necessari interventi di urgenza; su questo fronte appare inoltre assolutamente indispensabile dar vita a delle valide politiche di delocalizzazione di tutti quegli edifici che si trovano in situazioni di pericolo. Resta chiara, inoltre, l’esigenza di interventi di riqualificazione urbana che siano in grado di tenere conto sia del rischio idrogeologico sia delle esigenze di ripensamento che la crisi climatica impone sul tessuto urbano.
Undici miliardi di euro sono stati stanziati all’interno del piano Proteggi Italia per interventi contro il dissesto idrogeologico nel triennio 2019-2021, eppure continuano a mancare soluzioni adeguate ad evitare eventi disastrosi come quelli recenti. Secondo quanto riferito dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, “I fondi ci sono. In questo momento in cassa, e quindi senza ricorrere al Recovery Plan, ci sono circa 7 miliardi a disposizione. Il problema sono lacci e lacciuoli di natura amministrativa-burocratica che impediscono la spesa”. Contro questo ingorgo burocratico, secondo le dichiarazioni del ministro dell’Ambiente, andrebbe il Dl Semplificazioni approvato lo scorso Agosto a cui si affiancherebbe l’iniziativa, avviata dal ministero, di mettere a disposizione dei piccoli Comuni maggiormente aggrediti dal dissesto idrogeologico la sua struttura di ingegneria progettuale ambientale e di assistenza tecnico specialistica al fine di poterli aiutare nella realizzazioni di nuovi progetti.
Recovery fund
C’è poi la questione Recovery fund; poco o nulla sappiamo riguardo ai tempi di erogazione dei fondi stanziati (anche se appare assai improbabile l’ipotesi che siano disponibili prima dell’estate), tuttavia, dopo le insistenti richieste da parte delle Regioni, il ministro dell’Economia Gualtieri ha garantito che il piano di rilancio italiano riserverà consistenti investimenti per interventi sul fronte del dissesto idrogeologico.
L’auspicio è che, i fondi già esistenti e quelli in arrivo, vengano finalmente impiegati nell’ottica di iniziative di prevenzione e non sbloccati solo a fronte di stati emergenziali, quando danni spesso enormi sono ormai stati arrecati ad intere comunità già economicamente fragili o quando, ancora una volta, nuove vittime sono finite con l’ingrossare il triste elenco dei morti da dissesto idrogeologico. Occorre dar luce ad interventi lungimiranti, che sappiano tener conto anche dei cambiamenti che la crisi climatica sta comportando e che esporranno a rischi sempre più frequenti le aree già fragili del nostro Paese; occorre infine che governo e realtà locali lavorino in modo coordinato e che si investa in sistemi di valutazione e monitoraggio senza i quali qualsiasi progetto di mitigazione dei rischi risulterebbe impensabile.
Sette milioni e mezzo di italiani vivono o lavorano in aree a rischio, fare qualcosa è un dovere non più rimandabile.