Nel 2050 in mare pescheremo plastica

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inquinamento marino

2050 in mare pescheremo plastica


di Serena Carpentieri, foto di Annapaola Montuoro

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Inquinamento Marino: otto milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno entrano negli oceani e nei mari di tutto il mondo. A esserne danneggiati sono l’ambiente e gli animali marini


“Ogni singola goccia di acqua che bevi, ogni respiro che fai, tu sei connesso al mare. E non importa affatto in quale posto della Terra vivi”.

Una delle frasi che ha avuto più eco alla Conferenza Onu sugli Oceani che si è tenuta recentemente a New York.  E non è di certo una frase a effetto per rubare applausi di un pubblico in cerca di romanticismo, tutt’altro. È quello che non si stancherà mai di ripetere Sylvia Earle, classe 1935, una delle più grandi oceanografe degli Stati Uniti. Ha condotto le sue ricerche esplorando ogni angolo degli oceani, anche facendo l’acquanauta e vivendo per 2 settimane in una struttura sottomarina per portare avanti specifiche indagini; ha partecipato ai documentari che hanno fatto la storia della ricerca scientifica sugli oceani, ha vinto il record mondiale per l’immersione in massima profondità senza ausilio di un sommergibile. Una grande scienziata e una grande donna che ha denunciato e continua a denunciare i danni che l’uomo sta arrecando agli oceani, elemento vitale non solo per le creature che lo abitano ma per la stessa vita dell’uomo. Acidificazione degli oceani, pesca intensiva, la minaccia del petrolio, la drastica perdita di biodiversità e, non per ultimo, il problema dell'inquinamento marino. Un tema globale quest’ultimo che sta assumendo proporzioni davvero preoccupanti e che sta interrogando scienziati, politici, il settore economico. Ogni giorno si moltiplicano gli studi su un fenomeno che lascia presagire una gravità pari a quella dei mutamenti climatici: un problema globale dalle ripercussioni diffuse e irreversibili. Ma c’è qualcosa di ancora più certo: l’urgenza di agire prima che sia troppo tardi. Se continuiamo di questo passo, si calcola che nel 2050 in mare ci saranno più rifiuti di plastica che pesci.

Non sono rifiuti “marini”
Marine litter e, tradotto in italiano, rifiuti marini (inquinamento marino): così viene etichettata da molti questa grande emergenza ambientale. L’aggettivo “marini” allontana la nostra percezione dalla fonte del problema che è indubbiamente terrestre e che, attraverso i fiumi, arriva in mare. La differenza sembra sottile ma individua più chiaramente la radice del problema. Parliamo di 8 milioni di tonnellate di rifiuti che ogni anno entrano negli oceani e nei mari del mondo, un camion al minuto. Rifiuti di plastica tra l’80 e il 90%, generati dall'uomo, da un modello produttivo e di consumo non più sostenibile, dalla sovrapproduzione della plastica, dalla cattiva gestione dei rifiuti a monte, da una raccolta differenziata non efficace, da una cultura del riuso che stenta ancora a decollare. Le radici del problema, infatti, si trovano a terra e coinvolgono in prima persona non solo i cittadini ma la politica, gli schemi produttivi, quelli legislativi. Perché non si può parlare di politiche sostenibili per il mare senza partire dalle politiche che avvengono sulla terraferma. E, lungi da essere “solo” un problema ambientale, i rifiuti in mare rappresentano anche un problema economico: solo considerando i settori di pesca e turismo ogni anno costano all’Ue ben 476,8 milioni di euro l’anno, anche in questo caso il triste risultato di una cattiva gestione dei nostri rifiuti a monte.

Spiagge di usa e getta
Negli ultimi quattro anni Legambiente ha dato vita alla più grande operazione di citizen science a livello internazionale. Grazie all’attivismo e alla partecipazione di cittadini e volontari abbiamo dato un importante contributo alla ricerca scientifica dal basso e attraverso azioni che uniscono la ricerca alla sensibilizzazione delle persone e dei governi. Abbiamo setacciato oltre 200 spiagge italiane e del Mediterraneo, indagando tipologia e fonti dei rifiuti di grazie alla campagna di Spiagge e fondali puliti – Clean up the Med, abbiamo indagato per 400 ore la presenza dei rifiuti galleggianti sulle rotte di Goletta Verde, abbiamo trovato presenza di microplastiche in mare. E con la campagna Goletta dei Laghi, Legambiente ha studiato per la prima volta in Europa il fenomeno delle micro particelle di plastica sulla superficie dei laghi italiani.

Tutti i dati di Legambiente confermano i trend della letteratura internazionale: la massiccia presenza di plastica. Dai dati dell’indagine Beach Litter del 2016, su 62 spiagge e un’area monitorata pari a quasi 170 piscine olimpioniche, sono stati trovati una media di 670 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia. La plastica si conferma il materiale più trovato (84%). Di tutti i rifiuti monitorati, la metà arrivano dalla scorretta gestione dei rifiuti a monte, dalle attività turistiche e ricreative e dall'abbandono consapevole. Nello specifico quasi il 70% di questi sono imballaggi, per la precisione packaging di plastica usa e getta, materiali che sono stati concepiti e prodotti  per essere usa e getta. E che invece dureranno per sempre, inquinando mare e oceani.

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Rifiuti grandi, piccoli e invisibili
I rifiuti, come dimostrano tante campagne di ricerca e non per ultime quelle di Goletta Verde e Goletta dei Laghi, non c’è acqua che non sia contaminata dalla plastica. I rifiuti di plastica che entrano a contatto con l’ecosistema marino e costiero, nel corso degli anni e dei secoli, si frammentano ma non muoiono mai, dando origine a milioni di microplastiche. A queste si aggiungono le particelle che entrano nei mari già sotto forma di piccole particelle, ad esempio quelle contenute negli scrub di cosmetici o dei prodotti abrasivi per la pulizia, l’abrasione degli pneumatici, gli scarichi delle fibre tessili sintetiche che arrivano in mare dalle nostre lavatrici. Si tratta di un inquinamento marino invisibile, irreversibile e incalcolabile. L’ingestione delle micro particelle è stata documentata anche nei più piccoli organismi presenti nel mare, il plancton, alla base della catena trofica. Le micro particelle vengono ingerite anche in maniera diretta dai pesci e ce le ritroviamo in tavola. E il problema non è solo la plastica che viene mangiata dai pesci ma anche la capacità di questo materiale di assorbire sostanze contaminanti e tossiche, come una vera e propria spugna.

Tra plastiche piccole e grandi i problemi sono sempre gli stessi. Interagiscono con la fauna e con la biodiversità marina, oltre che con l’uomo. Tartarughe, mammiferi e uccelli marini possono morire per soffocamento dovuto all’ingestione accidentale di rifiuti (in particolare buste di plastica) scambiati per cibo oppure possono restare intrappolati nelle reti da pesca e negli attrezzi di cattura professionale. I rifiuti in plastica, in particolare, sono stati associati all’88% delle ingestioni o degli intrappolamenti; mentre carta, vetro e metallo lo sono per meno del 2%. L’ingestione della plastica è stata documentata in oltre 180 specie marine. Nessuno è immune, dunque. Basti pensare che il recente studio guidato dall’Università di Siena e condotto nel Tirreno settentrionale sulla Caretta caretta, documenta l’ingestione di rifiuti di plastica nel 71% degli individui per i quali è stato analizzato il tratto gastro intestinale. In 22 campioni sono stati trovati 483 frammenti di rifiuti marini, con una media di oltre 16 pezzi a campione.

Soluzioni sinergiche
Questi dati ci indicano chiaramente una strada: la prevenzione deve partire da una migliore gestione dei rifiuti. Ma non solo, perché questo problema riguarda il mondo della produzione e quello del consumo. È necessario, quindi, mettere a punto una plasticstrategy, l’innovazione e lo sviluppo di nuovi materiali,  gli incentivi e disincentivi economici per consumatori e produttori, le messe al bando dei prodotti più inquinanti, come quello che l’Italia già sta sperimentando con la messa al bando degli shopper di plastica e la proposta di legge per il bando delle microplastiche nei cosmetici, purtroppo ancora ferma al Senato. La risposta della politica e del mondo produttivo non può tardare ad arrivare: dobbiamo cogliere al volo non solo la direttiva europea della Marine Strategy ma anche la possibilità dell’economia circolare puntando tutto sulla prevenzione, come il nuovo pacchetto europeo prevede. Senza dimenticare che siamo di fronte a una sfida globale. I rifiuti in mare sono di tutti e non sono di nessuno, non hanno confini e non conoscono le frontiere delle nazioni: senza la sinergia di politiche comuni a tutti i Paesi, nessuna azione singola potrà essere davvero migliorativa. Inoltre, gran parte di questo percorso sta nelle mani delle campagne globali di sensibilizzazione e di tutti noi consumatori: scegliere prodotti con meno imballaggi, ridurre, riusare e fare la raccolta differenziata fa la differenza anche per il nostro mare.

Infine, dobbiamo acquisire la consapevolezza che siano connessi e dipendenti dal mare e dagli oceani. Il Pianeta blu regola il clima, assorbe l’inquinamento, è fonte irrinunciabile per l’economia, nutre i popoli, è abitato da creature meravigliose che vivono oggi una grave minaccia. Ma soprattutto dobbiamo riconnetterci agli oceani perché la vita di tutti noidipende da questa meravigliosa risorsa che produce per noi il 50% dell’ossigeno che respiriamo. Retorica a parte, proteggere gli oceani significa proteggere il nostro futuro.



Inquinamento Marino - #NoRifiutinelWc
Forse vi sembrerà incredibile, ma il 10% dei rifiuti trovati nelle spiagge italiane proviene dagli scarichi dei nostri bagni. Rifiuti buttati nel WC che raggiungono il mare, anche a causa di sistemi di depurazione inefficienti, e minacciano così la fauna marina. Parliamo soprattutto di cottonfioc: quasi 7.000 pezzi trovati in 46 spiagge monitorate da Legambiente tra il 2016 e il 2017. Pensate: 1 cottonfioc ogni passo sulla sabbia! La soluzione è semplice: usiamo i cestini! per saperne di più www.norifiutinelwc.it

2050 in mare pescheremo plastica
di Serena Carpentieri*, foto di Annapaola Montuoro

*responsabile campagne Legambiente

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