Primo, diminuire l’impatto

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Consumo del suolo  e inquinamento, riduzione dei ghiacciai, posti “perduti” da bonificare, rifiuti tossici..Tanti problemi da affrontare, ognuno per la sua parte, senza ottimismo. Ne parliamo con Mario Tozzi

di Fausta Cotone

Incontro Mario Tozzi, geologo, membro del CNR, divulgatore scientifico e commissario del Parco dell’Appia Antica in un bar del quartiere romano di San Lorenzo.

Cosa significa fare il commissario del Parco dell’Appia Antica di Roma?  Quali sono i problemi che affliggono uno dei luoghi più belli del mondo?

Significa prendersi una bella gatta da pelare perché l’Ente era già commissariato, non riesce ad avere una dirigenza stabile, non ha fondi a sufficienza, non c’è nemmeno un piano di assetto del Parco approvato.  Tutto è molto difficile e dopo dodici anni manca ancora uno strumento fondamentale come il Piano del Parco.Avere un Piano del parco significa avere delle regole che tutti hanno condiviso e alle quali nessuno si può più sottrarre. E questo ci porta quasi direttamente al problema più grave della città che si riverbera nel Parco, cioè la mobilità. L’Appia Antica viene usata come asse stradale di attraversamento e questo è intollerabile. Non si rispetta nemmeno la chiusura domenicale quando invece il provvedimento andrebbe applicato tutti i giorni, le macchine, tranne quelle dei residenti, non dovrebbero accedervi. Si tratta di un provvedimento andrebbe messo in atto il prima possibile, perché questa è la cosa più urgente. Altri problemi, per il Parco, non sono più gravi come un tempo.  L’abusivismo per esempio è molto ridotto.

Quali strumenti avete per intervenire?

Gli strumenti al momento sono di natura politica. Posso premere sulla Regione perché approvi il Piano, hanno promesso che lo avrebbero fatto e speriamo si sbrighino, perché non resto a fare il Commissario del Parco a queste condizioni.  Non devo fare carriera politica, non sono un ‘trombato’ dalle elezioni e questo incarico l’ho accettato per passione non certo per l’indennità, non uno stipendio, che ricevo. È molto importante, poi, che quello dell’Appia Antica sia un Parco non osteggiato come in altri casi d’Italia ma anzi, molto voluto dai cittadini che lo vorrebbero ampliato e più tutelato.

Ad oggi, nella nostra vita di tutti i giorni qui in Italia, quali sono i cambiamenti più rilevanti determinati dal riscaldamento globale?

Il primo è la diversa disponibilità dell’acqua. Il cambiamento climatico porta ad una concentrazione di piogge in periodi invernali molto rapide e molto abbondanti e subito dopo un periodo di siccità.  E’ un fenomeno di cui già ci accorgiamo bene, c’è una perturbazione a carattere violento e il corrispettivo aspetto siccitoso insieme. Non sono cose distinte e fanno parte dello stesso problema. Questo è il cambiamento più rilevante.  Ciò  comporta anche uno spostamento temporale dell’attività agricola e, in prospettiva, lo spostamento delle fasce del vino e dell’olio verso nord. L’innalzamento del livello dell’acqua è un problema che da noi, al momento, si avverte perché siamo circondati da un mare chiuso in cui la risalita sarà più sensibile in futuro.  Abbiamo già, invece, l’innalzamento delle masse glaciali: i ghiacciai dolomitici alpini, già ridotti, entro il 2050 saranno, probabilmente, più che dimezzati.  E questo comporta una serie di problemi di paesaggio ma anche di frane perché il ghiaccio tiene  insieme quelle montagne. I crolli estivi sulle Dolomiti sono dovuti al fatto che il ghiaccio non si riforma più e dunque non tiene più solidale la montagna .

Quali sono le grandi emergenze  del Paese? 

Le emergenze sono fondamentalmente tre.  Una è il consumo di suolo, di cui questo Paese registra un consumo eccessivo.  In Italia, ogni secondo che passa, otto metri quadrati di territorio spariscono sotto all’asfalto. Si consumano duecentomila ettari all’anno. Questo significa  deterioramento del paesaggio, uso scomposto e improprio del territorio ed esporre i cittadini a un maggior rischio idrogeologico: quanto più costruisci tanto più questo tipo di rischio aumenta.  Oggi solo il 29% delle coste italiane è intatto. Questa è una vera emergenza e, invece, la legge sul consumo di suolo è ferma da due anni in Parlamento.Ogni Sindaco dovrebbe dire basta, qui non si costruisce più un metro quadro.  Una seconda emergenza sono i territori inquinati, i vecchi poli industriali o di petrolchimica: Marghera, Porto Torres, Termini Imerese, Manfredonia, Taranto. Posti ‘perduti’ che andrebbero bonificati. C’è poi la questione della Terra dei Fuochi e quindi l’illegalità intorno ai rifiuti tossici o speciali, l’inquinamento dei siti.  Abbiamo anche un grave problema di inquinamento urbano. Siamo il Paese che ha più morti, rispetto alla media, per inquinamento atmosferico: 85mila ogni anno. La mobilità è un aspetto da risolvere con urgenza, in Italia troppe persone hanno e usano l’auto privata.

Che cosa significa l’espressione ‘nuovi stili di vita’?  E’ possibile avere degli esempi concreti e realistici?

Fondamentalmente significa sprecare di meno.  Ma direi pure consumare di meno e risparmiare.  Se dovessimo esplicitare nel modo giusto il concetto dovremmo dire consumi più responsabili, quasi ‘azzerati’.  L’espressione più adeguata è ‘stili più sobri’ che non significa meno felici. Rimodulare il nostro modo di vivere. Abitare in case coibentate e che producono una quota dell’energia che consumano, ovviamente non parlo di condomini ma di abitazioni isolate.  Muoversi in maniera differente: usare meno l’auto privata, preferendo autovetture ibride o elettriche  e spostarsi con mezzi collettivi.  Cambiare i consumi alimentari, mangiare meno carne, anche senza essere vegetariani a tutti i costi perché, ormai lo sappiamo, il 18% del riscaldamento climatico è causato dalla zootecnia.  Nessuno ha la ricetta perfetta però è chiaro che seguendo queste regole il nostro impatto diminuirebbe.  Ecco, ‘diminuire gli impatti’ è il comandamento.

Dove è possibile trovare in Italia modelli di buone pratiche ambientali e antisismiche?

Sono due cose diverse.  Dal punto di vista ambientale qualcosa si fa. Per esempio in Trentino Alto-Adige con la costruzione di abitazioni passive, che non consumano energia e quindi inquinano poco o affatto.  Abbiamo qualche esempio di mobilità più efficiente a Milano, ci sono situazioni dove si riduce l’impatto elettrico sostituendo l’illuminazione pubblica con quella a LED.Dal punto di vista antisismico, l’Umbria è un buon esempio.  Dopo il terremoto del 1997 si è costruito in maniera appropriata e direi che i grossi terremoti che avverranno lì troveranno un tessuto urbanistico più appropriato.  Si è restaurato parecchio, perché in Italia il problema è di restaurare gli edifici storici non di costruirne nuovi, che non dovrebbero proprio essere costruiti: dobbiamo restaurare nel modo giusto quello che c’è.

Possiamo lanciare un messaggio di ottimismo e di impegno ai nostri lettori?

No, non c’è alcun ottimismo. Per l’impegno vale l’esempio personale. Chi è convinto di questo si metta in testa di farlo e operi in base a quanto abbiamo detto cercando di metterlo in pratica.

Come può il pianeta accontentarsi di compromessi al ribasso, condizionati dai grandi Paesi inquinatori e dalle multinazionali?

La risposta sta nella domanda. Il pianeta ‘può’ perché gli interessi economici dell’industria petro-carboniera  sono i più rilevanti.  Questi signori hanno diecimila miliardi di infrastrutture allocate, figurati se mollano un affare del genere.  Ogni giorno si estraggono 85 milioni di barili di petrolio, quand’anche ci si guadagnasse solo 40 dollari a barile ….

Uno scienziato prestato allo spettacolo può sembrare una contraddizione.  Come risolve e affronta questo conflitto se tale si può chiamare?

In realtà io non ho alcun conflitto perché la divulgazione è l’anima della scienza.  Se non ci fosse stata la divulgazione non sarebbero stati fatti propri dai cittadini tanti temi importanti. I grandissimi scienziati sono stati tutti un po’ divulgatori, non tanto nelle azioni quanto nella figura.  Si pensi all’iconografia classica dello scienziato e invece ad  Albert Einstein con la linguaccia….  Avvicinare, rendere comprensibile e divulgare sono un aspetto importante nel trasferimento delle conoscenze.  Poi la divulgazione è molto creativa, ti permette di elaborare e dire in parole semplici quello che hai studiato o hai appreso senza mediazione giornalistica.

La sua schiettezza e il suo linguaggio franco possono essere un’arma a doppio taglio.  Come si difende da chi l’accusa di essere irascibile e di parte?

Sono irascibile perché tratto temi molto scottanti.  Di parte? Sì sono di parte ma lo rivendico. La mia parte è molto chiara: prima di cominciare a parlare si sa chi sono, mentre quelli che si palesano per ‘obiettivi’, e spesso poi la parte ce l’hanno eccome, beh francamente non mi piacciono molto.

La televisione può ancora essere influente nella formazione ambientale degli italiani, pur in presenza di tanti media e agenzie formative a disposizione?

Sì, in Italia sicuramente. La televisione satellitare, in particolare, ha un ruolo rilevante perché ha tanti canali tematici dedicati a questi temi.  La televisione generalista, forse è un segno di arretratezza, è ancora molto importante  per la divulgazione e lo sarà ancora per molti anni.

La scuola può assolvere una qualche funzione nella costruzione di una nuova sensibilità ambientale oppure, ancora una volta, le si vogliono attribuire e scaricare funzioni che dovrebbero essere assolte da altri?

Potrebbe assolverla purché le questioni ambientali fossero ben integrate e materia di studio. Il corpo insegnante però, fondamentalmente, non è preparato a questo.  Sono temi che trattano solo i professori  di Scienze ed è sbagliato, perché il problema è anche culturale.