Il Melo sulla mappa del Cuore

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mela cabellotta

Il Melo sulla mappa del cuore - Mela Cabellotta


di Simona Ugolotti

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mela cabellotta

Lo scambio di semi tra contadini ha consentito la sopravvivenza di prodotti preziosi ma quasi dimenticati come l'antica Mela Cabellotta, Simona Ugolotti ci racconta la lunga lotta che, tra ostacoli e difficoltà, ha avuto poi un lieto fine



Mi domando se Cesare o la Gianna di Frassineto abbiano anche loro, negli occhi, la mappa dei rami degli alberi che hanno circondato la nostra breve vita di umani. Cesare di sicuro; Gianna anche se è una gran potatrice, è ancora giovane per accorgersi della sua mappa. Solo dopo questa storia d’amore potrete capire il perché ho regalato la mia casa con la clausola di non tagliare gli alberi.

Quando sono andata a vivere “in ta ca dell’Erculinna” ho cominciato subito a lavorare sodo con tutta la frutta che avevo intorno, ero dentro un bosco di prugne e amarene. Davanti alla casa un imponente noce e qualche melo, ma i meli più importanti erano in terreni lontani, alberi talmente ricchi di frutti e colori che non passavano inosservati alla natura intorno, dagli insetti ai cinghiali; anche gli uccelli non si negavano di beccare i più bei frutti, c'era una competizione spietata. Con Pegaso, il mio asinello, andavamo a farci delle cariche di mele che trasformavo in gustosissime marmellate. Ma il frutto più importante sul quale la mia piccola comunità si basava erano le castagne, castagne a volontà raccolte in boschi abbandonati da almeno cinquant'anni. Le zone dove gli alberi davano i frutti migliori le frequentavamo in molti: oltre a me e Pegaso, c’erano anche cinghiali, caprioli e pecore. In quei posti c’era l’appuntamento autunnale fisso, ma le castagne erano talmente tante che potevamo viverci tutti abbondantemente, non come gli antichi che litigavano per un filo d’erba.

Disobbedienza civile
Questi castagni erano domestici, cioè da secoli i contadini prima di me tenevano puliti i boschi, potavano e innestavano i migliori castagni, che ancor oggi mostrano i segni di una storia importante, non solo per i frutti che continuano a dare, ma per le dimensioni secolari. In questi boschi cominciai a capire la mia impotenza e inutilità, mi sentivo piccola come una formica sola, non stavo facendo la contadina ma stavo raccogliendo i frutti di una storia passata, del lavoro di chi aveva operato sapientemente prima di me per il futuro, contadini che innestavano e potavano alberi di cui probabilmente non avrebbero mai assaggiato i frutti, lavoravano per i figli. Un lavoro saggio e utile alla sopravvivenza, anche alla mia. Qui in montagna, i vecchi sono spesso cattivi con i furesti. I furesti sono quelli che vengono da fuori, anche solo dal paese vicino, e io che ero donna e venivo dalla città ero della razza peggiore di furesti, a cui dedicavano tutta la diffidenza e cattiveria possibile.  Per fortuna la mia necessità di sopravvivenza mi portò a capire e a comportarmi in maniera tale da sorprenderli: ero meglio dei loro figli che erano fuggiti da quelle terre, quindi godevo anche di momenti di clemenza e rispetto. Non è roba da poco, e nemmeno facile da mantenere…

Era il 1998 quando una direttiva europea considerò lo scambio e la commercializzazione delle sementi una pratica riservata solo alle ditte sementiere e vietata ai contadini. Un regolamento che osò proibire quello che i contadini avevano sempre fatto. In quegli anni, Massimo di Pentagora, un furesto illuminato e illuminante, arrivò nelle nostre case rurali senza fare discriminazione alcuna: tutti andavano bene per opporsi a questa direttiva europea.

Formammo gruppi informali che praticavano, anche con gran divertimento, una disobbedienza civile scambiando i semi in piazza. Atti che si trasformarono in feste dello scambio del seme, oggi di moda in tutta Europa.  Anche Teresa della Val Borbera, la nostra preziosa giornalista, ci sostenne e diede la giusta attenzione a quello che organizzarono i contadini dell’entroterra: fu utilissima alla causa. Oggi Teresa semina il “Grano Gentile” nella sua terra natia. Fu un esaltante movimento di crescita collettiva.

Cominciammo a catalogare semi e storie, a dare nomi ai frutti, le feste erano finalmente grande occasione di incontro tra le generazioni, dove la cattiveria e la diffidenza reciproca venivano abbandonate e l’ascia di guerra veniva sepolta, anche se da noi è molto più usata la pennacca, attrezzo sempre agganciato ai pantaloni.

Nelle prime feste, a dare colore e a dominare le tavole erano le nostre preziosissime mele; anche le patate non scherzavano. La nostra favolosa e buonissima Quarantina era già una diva del Genovesato; una patata a forma di sasso, una forma che ricorda quanto bisogna essere duri per resistere in questa terra. La frutta che ormai raccoglievo da anni finalmente prendeva nome. La Mela Cabellotta, Roncaline, le prugne Arselline e le Franchin, ecc…

Dal 1998, anno in cui uscì la direttiva, finalmente nel 2007 è stata formalizzata in associazione la “Rete Semi Rurale”: un'assemblea di persone di diverse competenze e provenienze, una rete nazionale che prende voce in capitolo facendo luce sulle questioni riguardanti il nostro patrimonio genetico, sostenendo progetti e idee.

La proposta di legge per permettere lo scambio del seme è stata, tra le imprese della Rete, la più importante, che ha richiesto anni di documenti, di discussioni, di viaggi faticosi e costosi. Non sono state poche le volte che una delegazione della Rete formata da contadini, pastori, agronomi, filosofi e burocrati, si è presentata ai vari ministri dell’agricoltura con la proposta in mano.
La nostra preziosa proposta di legge!
Grazie al lavoro di molti siamo riusciti a ottenere un risultato finora unico in Europa: in Italia si possono scambiare semi in modica quantità. Una legge per proteggere il futuro.

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Tra Mela Cabellotta e Cesarine
Finalmente avevamo la domanda giusta da fare ai nostri vecchi e potevamo aprirci alla comprensione reciproca, dettata dal bisogno di sopravvivenza a cui la dura terra induce. La parola futuro aveva di nuovo senso e azione. Cominciai finalmente a capire e a fare il mio mestiere, innestando, potando, usando semi passati di mano in mano, di storia in storia. Perdendo la comodità di scendere a valle a comprare buste e sacchi di semi acquistavo autonomia, sapienza, sapori, sorprese e futuro. Stavamo finalmente imparando dalle mani di quei vecchi ciò che un tempo era normale, ciò che ancora oggi è necessario apprendere. Quando chiesi a Cesare di dirmi i nomi delle mele, Cesare non esitò, nonostante gli facessero già male le ginocchia, ad accompagnarmi.

Mi raccontò chi le aveva innestate, nomi e cognomi di tutto quello che avevamo intorno, era orgoglioso di mostrarmi la sua mappa dei rami. Ora la presenza di entrambi su queste dure montagne aveva un senso, mi sentivo orgogliosa di quello che stavo imparando, in quelle giornate fummo veramente insieme, e quando ciò accade nella solitudine della montagna vi assicuro che rimane impresso nella mappa del cuore.
Sentire cosa vuol dire esistere.

Ma prima di chiudere questa storia devo svelare un segreto.
Vent’anni prima, quando arrivai in montagna pagai una multa per una prepotente ruspa che avrebbe dovuto fare la strada di casa. Sul progetto della strada c’era un piccolo melo, guarda caso di Cesare, che ci obbligò a cambiare percorso imponendo una ripidissima rampa invece di una morbida curva. Una strada deviata in nome di quell'alberello: quante imprecazioni…

Gli anni passarono e cominciai a difendere quell’albero perché cominciava a fare mele Cabellotte, frutti che assaggiò anche Isabella della Ragione di Archeologia Arborea, ricercatrice rurale esperta di alberi antichi. Quando invitammo Isabella in vallata per mostrarle il nostro patrimonio, fu folgorata dal sapore della “mia” mela. Appena cominciammo a innestare per salvare i nostri vecchi alberi, portai i miei rami di melo giovane: tutti innestarono convinti che fosse la squisita Mela Cabellotta, molti innesti diedero frutti. Ogni tanto mi capita di ricevere le foto dei frutti di chi fece quegli innesti, innesti dei rami di quel melo che continua a intralciare i passanti. Bene, sappiate che quelle non sono Mele Cabellotte, ma sono frutti di un selvatico sulla strada di casa, un buon selvatico, a cui ho dato un nome. Le ho chiamate Cesarine: come è giusto che sia, un nome è anche una storia.

 

Il Melo sulla mappa del cuore - Mela Cabellotta
di Simona Ugolotti, La Cantadina

 

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