Laviamo il Mondo
di Enrico Ceci

L’ambiente in cui ci troviamo a vivere è sottoposto a una pressione antropica che rischia di schiacciarlo. Possiamo modificare i nostri comportamenti ma i materiali che ci troviamo ad utilizzare sono difficili da gestire. Pensiamo ai nostri vestiti, una delle principali fonti di inquinamento marino
La nuova consapevolezza ambientale passa, soprattutto, attraverso il riconoscimento della responsabilità individuale verso il Pianeta.L’ambiente in cui ci troviamo a vivere è sottoposto, in modo incomparabile con qualsiasi altra epoca precedente, a una pressione antropica che rischia di schiacciarlo.
Rendere leggera la nostra impronta non è però cosa facile. Possiamo modificare i nostri comportamenti e i nostri consumi ma i materiali che ci troviamo ad utilizzare sono difficili da gestire. Dobbiamo comunque provarci. E per farlo dobbiamo conoscere.
Ad esempio, siamo coscienti dell’enorme quantità di rifiuti plastici che finisce nei corsi d’acqua e nei mari. E per questo ci impegniamo a eliminarne l’uso. Sappiamo anche che la maggior parte della plastica che si trova nei mari e negli oceani non ha la forma di prodotti interi come bottiglie, buste o cannucce, ma di frammenti più o meno grandi o soprattutto microscopici.
Forse però non tutti sono a conoscenza del fatto che una delle principali fonti di inquinamento marino sono i nostri vestiti.
Oggi in tutto il mondo, circa il 60% dei materiali che li compongono sono fibre di plastica sintetica come il poliestere, il nylon, l’acrilico. Si tratta di tessuti che hanno il vantaggio di essere economici e versatili ma che purtroppo contribuiscono all’inquinamento delle acque in modo sottile ma pervasivo: penetrano nell’ambiente, semplicemente, a seguito di un lavaggio in lavatrice. È difficile stabilire con esattezza la quantità d’inquinamento di plastica per carico, perché sono molte le variabili che contribuiscono alla dispersione delle fibre: il tipo d’indumento, i materiali utilizzati, la temperatura dell’acqua, il detergente, l’uso dell’ammorbidente, il carico della lavatrice. Ad esempio, una lavatrice a caricamento dall’alto rilascia sette volte le microfibre di una a caricamento frontale, il detersivo in polvere produce il triplo delle microfibre rispetto a quello liquido e l’uso dell’ammorbidente riduce il rilascio del 30%.
Esistono quindi stime diverse ma tutte concordano nel ritenere che un singolo carico di biancheria rilascia nell’ambiente centinaia di migliaia di fibre. Le micro fibre sintetiche – lunghe meno di 5 millimetri, con diametri misurati in micrometri (un millesimo di millimetro) – che si staccano durante il lavaggio sono troppo piccole perché i filtri della lavatrice possano bloccarle.
L’acqua di scarico, ricca di fibre, passa (quando ci sono) negli impianti di trattamento acque, che però ne intercettano non più della metà. E comunque quella parte di fibre che non finisce nei mari perché trattenute nei fanghi di depurazione, la ritroviamo attraverso i fertilizzanti, prodotti proprio da quei fanghi sui nostri campi.
Ovviamente la quantità di microfibre per carico è misurabile in milligrammi ma, anche in questo caso, è la somma che fa il totale. Si stima che una popolazione di 100.000 persone, produca ogni giorno circa 1,02 chilogrammi di fibre. Cioè 3,5 quintali ogni anno di singoli frammenti di plastica.
Un rapporto del 2017 dell’Unione internazionale per la Conservazione della Natura, stima che circa il 35% delle microplastiche rintracciate nelle acque oceaniche provengono dai tessuti sintetici.
Le microplastiche, di per sé tossiche per gli organismi acquatici, purtroppo agiscono anche come spugne, assorbendo altre tossine disciolte in acqua. Le microplastiche ingerite vanno poi ad accumularsi nella catena alimentare. Un recente studio ha scoperto che circa il 73% dei pesci catturati a profondità oceaniche nell’Atlantico nord-occidentale presenta una microplastica nello stomaco.
E allora, gli sforzi mirati alla riduzione della produzione e consumo dei prodotti di plastica che finiscono nei nostri mari devono prendere assolutamente in considerazione il fatto che anche i nostri vestiti sono parte del problema.
CHE FARE?
Una soluzione semplicistica al problema dei vestiti che perdono plastica sembrerebbe essere quella di acquistare indumenti in fibre naturali. Ma l’abbigliamento sintetico è più a buon mercato e l’attenzione all’ambiente non può essere un lusso da ricchi. Perché una soluzione sia utile e praticabile, deve essere accessibile a tutti. E troppo spesso un consumatore attento all’ambiente è un consumatore ricco.
Le soluzioni devono essere più sistemiche. I costruttori di lavatrici dovrebbero progettare modelli adatti a ridurre le emissioni di fibre nell’ambiente. I produttori tessili, creare tessuti che rilasciano meno fibre. I consumatori infine potrebbero essere più attenti, comprare meno vestiti (quelli nuovi rilasciano più microfibre) e lavarli solo quando necessario e con cicli delicati, così da ridurre l’effetto abrasivo che provoca la rottura delle fibre.
