Monte Arcosu. La montagna degli ultimi cervi

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Monte Arcosu. La montagna degli ultimi cervi

Di Liliana Adamo e Marco Corda

Nella riserva di Monte Arcosu, in Sardegna, 30 anni fa il cervo sardo-corso era quasi totalmente estinto. Solo grazie a coraggiosi volontari, la specie è stata sottratta ai bracconieri per sopravvivere in un ambiente fortemente tutelato

 Un territorio impervio quanto affascinante si estende per trenta, forse trentacinquemila ettari di macchia–foresta mediterranea. Guglie granitiche si ergono su pareti scoscese per digradare in valli alluvionali, torrenti impetuosi si incuneano fino a coprire grotte carsiche durante la stagione invernale, trasformandosi in rigagnoli riarsi e secchi sotto la calura estiva. A dispetto delle altitudini intorno ai mille metri, siamo nel sud della Sardegna e il Monte Arcosu con le sue propaggini rappresenta la più grande riserva dell’intero patrimonio boschivo europeo. Un ecosistema a cui è stato restituito l’originario equilibrio, dove il cervo sardo, finalmente libero dall’essere minacciato, vive tra gole e pendii al sicuro nel proprio habitat, grazie a un gruppo di volontari e al loro ostinato atto di perseveranza.

INVERSIONE DI TENDENZA

Andiamo per ordine: bracconaggio, degrado ambientale, estinzione. A condizioni insostenibili si oppongono due obiettivi primari, ossia, protezione totale, inversione di tendenza. Da oltre un secolo, la storia dell’attuale riserva Monte Arcosu, Oasi del Cervo e della Luna (di 3.650 ettari), situata a nord del Sulcis non lontano da Cagliari, resta legata alle vicissitudini del cervo sardo in un territorio morfologicamente accidentato che ha inevitabilmente favorito i cacciatori di frodo. L’esodo che ha caratterizzato regioni prevalentemente montuose non ha mai fermato la pressione antropica. Come altrove, anche nel Sulcis Iglesiente allevamento intensivo soprattutto caprino, taglio dei boschi e caccia hanno messo a dura prova la sopravvivenza di grandi mammiferi ungulati. E spesso la sopravvivenza di grandi mammiferi ungulati ne ha pagato il prezzo. Pratica usuale dei bracconieri al fine di provocare una lenta e dolorosa morte per strangolamento, consisteva nel posizionare lacci in cavi d’acciaio pronti a scattare lungo i passaggi di cinghiali selvatici e cervi. Vittime  sacrificali erano anche  rapaci che nidificavano sulle montagne, uccelli in volo su rotte migratorie, creature dei boschi: il daino (dama dama) scomparso e poi reintrodotto, il gatto selvatico (felis lybica sarda), la volpe (vulpes vulpes ichnusae) e ancora martore, donnole, la lepre sarda. In pericolo, piccoli roditori come riccio e topo quercino. Questo succedeva negli anni Ottanta, quando numericamente i preziosi cervi erano ridotti a meno di 300.

UN CACCIATORE DI EMOZIONI

 “Il Cervus elaphus corsicanus o più comunemente cervo sardo, sottospecie endemica del cervo europeo (Cervus elaphus), è tra gli animali selvatici più iconici della Sardegna”, spiega il cagliaritano Marco Corda, fotografo naturalista, ambientalista in primis, che fin da ragazzo nutre una passione viscerale per la sua terra: un cacciatore di emozioni. “L’esemplare corsicanus o sardo di taglia più piccola rispetto ai grandi cervi che caratterizzano le popolazioni del nord Europa dal manto tendente al rossiccio, risalirebbe addirittura alla preistoria”. In effetti, protomi di cervi decorano navicelle nuragiche dell’VIII – VI secolo a.C. Gli stessi ornamenti si trovano su spade votive dell’epoca e stilizzate figure di cervo erano offerte alle divinità. “Il cervo sardo è un animale unico nel suo genere. Scampato miracolosamente all’estinzione nel secolo scorso, ha risentito in maniera negativa dei catastrofici disboscamenti che fin dalla metà del ‘900 hanno deturpato irreversibilmente l’isola. Privato del suo habitat naturale divenne facile preda per cacciatori senza scrupoli che agivano impunemente in assenza di controllo e azioni di contrasto, anzi, lautamente prezzolati da musei o collezionisti privati. In molti territori della Sardegna, il cervo era visto come un animale mitologico, di cui solo qualche anziano raccontava di fortuiti incontri in gioventù”. Come riconoscere le sue peculiarità rispetto al cervo delle Alpi o del nord Europa? La corporatura è snella ed elegante, il petto largo e le spalle muscolose rispetto al collo, lungo e sottile. La testa è a forma triangolare, con larghe orecchie, grandi occhi espressivi con evidenti fosse lacrimali. Queste secernano un liquido oleoso ed odoroso con cui marcano il territorio; gli arti corti, esili, sono molto forti. Il mantello tende al rosso in estate, diventando più scuro man mano che si avvicina l’inverno. Particolare evidente quando il manto cambia in rosso, è una stria nereggiante che lo attraversa dalla testa fino alla radice della coda. Nei maschi adulti la parte inferiore del collo è ricoperta da una fosca, lunga criniera, mentre la pomellatura è prerogativa dei soli cerbiatti.

INCONTRARE UN CERVO…

Coautore di articoli scientifici e divulgativi, munito di macchina fotografica, quaderno da campo e binocolo alla ricerca della fauna più elusiva, Marco si spinge  fin dove sia umanamente possibile allo scopo di censire la presenza di aquile reali, grifoni (una tipologia di maestosi avvoltoi), falchi e naturalmente gli amati cervi autoctoni che tra le specie vulnerabili conterebbe su almeno 10.635 esemplari in tutta la Sardegna. Ripercorriamo insieme la prima volta in cui si è imbattuto in questi singolari animali, notoriamente sfuggenti al contatto umano: “Ricordo perfettamente malgrado sia passato molto tempo. Il primo cervo lo ricordo perfettamente malgrado sia passato molto tempo. Avrò avuto sì e no una decina d’anni, zaino in spalla percorrevo insieme a mio padre un tratto selvaggio dell’Oasi durante un pomeriggio di mezza estate. I flashback legati a quella giornata sono ancora perfettamente nitidi. La rinfusa spiumata di una povera ghiandaia su una vecchia ceppaia di leccio, banco di colazione di qualche astore o forse sparviere, il ritrovamento di un occultato cavo d’acciaio, trappola micidiale ad opera di bracconieri per fortuna disinnescata con attenzione e messa da parte; infine, il miraggio del cervo. Il silenzio della foresta interrotto da un rumore improvviso, un trotto cadenzato, un calpestio leggero di chi si fa strada con grazia aprendosi un varco nella macchia mediterranea. È stato il primo impatto con il cervo sardo che aveva appena lasciato dietro di sé indizi della sua presenza, un che d’irraggiungibile, il desiderio precluso di un faccia a faccia… Se in quel pomeriggio d’estate i nostri destini s’incrociarono con il solo privilegio d’aver percepito un segno già di per sé appagante, non ho mai smesso di sognare i cervi, di studiarli e fotografarli, dedicando intere stagioni nel tentativo di carpire i segreti più intimi di questa specie, percorrendo i loro sentieri, interpretando le loro tracce. L’albero scortecciato dai palchi del maschio dominante che rivendica il suo territorio, oppure le orme della cerva seguita dal cerbiatto, che conducono a una sorgente segreta in mezzo al bosco”.

OASI DEL CERVO E DELLA LUNA

La riserva è circondata da un sistema montuoso di diverse altitudini, dai 300 ai 1.000 metri che declina su due valli principali e nel cono alluvionale del rio Santa Lucia. L’estensione in direzione est-nord-est arriva alla piana del Cixerri e a quella di Capoterra. A nord, crinali rocciosi lungo il bacino del rio Sa Cannara, la separano dalle colline, verso Cixerri. A sud-est un’ulteriore formazione di non più di 300-400 metri va a scompaginare il paesaggio fino alla valle Guttureddu e alla gola di Gutturu Mannu. Una struttura più irregolare si trova nella zona sud-ovest, dove lo scenario è quello tipico del Sulcis orientale con vette più alte intersecate da spaccature strette e profonde. Molto suggestivo è il settore a occidente: uno spartiacque si espande tra due monti, Arcosu con i suoi ripidi dislivelli e Lattias, fra i più imponenti del Sulcis (1086 metri). Impressionante la conformazione dei dorsali, anfiteatro di grandiose sculture naturali. In prossimità del monte Lattias che domina la valle del rio Guttureddu si trova una delle foresterie dell’Oasi del Cervo e della Luna. Come si è arrivati ad istituire piena tutela per questi territori e preservarne così fauna e biodiversità? Abbiamo già accennato a una virtù, la perseveranza e visto in che percentuale la popolazione dei cervi era andata bruscamente calando, per quanto dal 1939 e in tutto il XX secolo, un decreto ne avesse proibito la caccia. Fino agli anni Ottanta, 3.000 ettari dal Monte Lattias a quello di Arcosu erano tutelati come riserva di caccia privata impiegando una sorta di vigilanza venatoria. Di seguito, abolite le riserve private venne meno anche l’interesse dei proprietari alla conservazione e l’area fu messa in vendita a 600 milioni di lire. A un certo punto, il WWF Italia si inserisce nel contesto con una raccolta fondi destinati all’acquisizione dei territori e l’obiettivo di proteggere i pochi esemplari rimasti. Fu allora che il presidente del WWF Sardegna, Antonello Monni, propose alla rete nazionale l’acquisto dell’intero lotto. Encomiabile decisione! La somma totale era pari a circa due terzi del fatturato annuo, la dotazione di solvibilità per l’associazione, era di 80 milioni. Dunque, serviva una restante disponibilità di denaro e da lì fu avviata una massiccia campagna di sensibilizzazione attraverso stampa, televisione, editoria, scuole. L’efficacia e la persuasione su un tema squisitamente ambientale ebbero un tale impatto fra privati cittadini ed Unione Europea, che il fundraising (da record), riuscì a superare la quota necessaria per l’acquisizione dell’area destinata alla sopravvivenza degli ultimi cervi.

SALVAGUARDIA E TUTELA

Sottolinea Marco Corda: “E’ grazie a quel prezioso intervento di salvaguardia e tutela che i cervi riconquistarono gran parte dei loro areali storici. Oggi, la specie gode di ottima salute ed è in costante crescita demografica, a dispetto di sporadici atti di bracconaggio. Se il cervo sardo è ormai fuori pericolo lo si deve a quei giovani ambientalisti che negli anni ’80 salvarono dalla speculazione la Montagna degli ultimi cervi”. Nel 1985 fu istituita la riserva nonostante l’acerrima opposizione da parte di lobbies venatorie: obiettivo primario era la protezione totale dei grandi mammiferi. Nel 1988,  formalizzato lo status giuridico d’area protetta a gestione privata e nel 1996, attraverso i fondi della campagna Benjamina, fu acquistato un secondo lotto di 600 ettari che si estende a ovest del primo, entrambi infine, proprietà di WWF Italia. Le infrastrutture si snodano su quattro diversi livelli collegati a un fitto susseguirsi di sentieri. Dopo il nubifragio che nel 2018 colpì il Sulcis, centro d’accoglienza, foresterie e rifugi sono stati oggetti d’interventi di ristrutturazione finalizzati all’inserimento lavorativo di fasce sociali più deboli e svantaggiate, ampliando percorsi didattici per scuole e famiglie. Intanto, il cervo sardo gode di una ritrovata sicurezza nel suo habitat originario. Chiudiamo con l’ultima osservazione di Marco: “La magia più grande nell’incontro coi cervi avviene sul finire dell’estate, durante il periodo degli amori quando i maschi ingaggiano vere e proprie competizioni sonore a suon di bramito, quel particolare verso simile a un ruggito che riecheggia grottescamente nella foresta, mentre le femmine, nascoste tra la folta vegetazione attendono il placarsi degli animi, concedendosi soltanto al più possente e in salute”.