La Terra è sacra. Natura e spirito dei Nativi d’America
Di Marco Cinque
La realtà per i Nativi rinchiusi nelle riserve è molto dura. Ma la tradizione della loro spiritualità ha tanto da insegnarci ed esprime un forte rispetto per la Madre Terra e tutti gli elementi naturali
Spesso ci facciamo un’idea retorica e molto lontana da quelle che sono realmente le culture dei popoli nativi delle Americhe. Gran parte delle testimonianze e degli scritti a noi pervenuti provengono comunemente da una trasmissione orale, quindi spesso sono artefatti, rielaborati, talvolta persino traditi e per lo più addomesticati al nostro sentire occidentale. Insomma, in qualche modo i retaggi a noi tramandati sono stati resi strumentalmente appetibili per definire una visione romantica dell’universo amerindiano, con la finalità di renderli più sfruttabili e vendibili anche dal punto di vista commerciale. Basta infatti vedere chi si è arricchito con la generosa produzione bibliografica e con la filmografia sui nativi d’America, non certo i nativi stessi. Queste visioni edulcorate, in realtà, non trovano riscontro e stridono con l’attuale situazione delle Riserve Indiane, che spesso sono ghetti che diventano il terzo mondo casalingo dell’America, dove si riscontrano i più alti tassi di disoccupazione, alcolismo, criminalità, povertà, analfabetismo, suicidi di adolescenti e quant’altro.
BANCAROTTA DELLA SPIRITUALITA’
Come regolarmente accade in tutti i ghetti, gli effetti conseguenti sono nefasti e vedono percentualmente le minoranze native americane al primo posto nella classifica delle incarcerazioni e delle condanne alla pena capitale. A questi primati concorrono comunque anche la discriminazione, il razzismo e persino leggi razziali ancora in vigore negli Usa. Un’altra triste evidenza, dopo il genocidio e il furto delle terre, è lo spossessamento culturale dei popoli indigeni, dove persino i loro nomi vengono trasformati in merce da vendere e comprare: le jeep Cherokee, gli elicotteri da guerra Apache, etc.
La retorica mielosa e l’eterea spiritualità che molte persone cercano nella cultura e nelle cerimonie che ci arrivano dal mondo amerindio, in realtà sono rifuggite come la peste da molti nativi, come qualche anno fa mi confessò il Lakota Gilbert Douville: Tanta gente è alla ricerca di una strada che la porti a conoscere la propria spiritualità. Molte di queste persone vengono quindi a incontrare noi Nativi d’America, forse perché il mondo ha raggiunto quella che noi chiamiamo “bancarotta della spiritualità”. Insomma, sono insoddisfatti di quello che le loro dottrine e religioni non riescono a dare o mantenere. Così, in molti vogliono imparare a usare la pipa o conoscere le nostre cerimonie. Poi, una volta che sono stati accolti, parecchi tornano nelle Americhe e in Europa e iniziano a celebrare per conto proprio. C’è una cosa però che devasta questa pratica, corrompendola nel più profondo: il denaro. Loro mettono un prezzo, si fanno pagare per partecipare a cerimonie che dovrebbero essere gratuite. Su internet troverete in quantità industriale soggetti che, ovviamente, sostengono di essere stati formati e autorizzati da qualche uomo-medicina e c’era un tizio che per un week end spirituale chiedeva addirittura 2.000 euro a persona. Molti anziani Lakota e di altre Nazioni sono stanchi di questo, perciò hanno stilato una sorta di dichiarazione di guerra contro gli sfruttatori della spiritualità Nativa: la nostra spiritualità non è in vendita e se trovate persone che vi chiedono soldi per partecipare a una cerimonia, scappate lontano da loro più che potete.
INCONTRO DI ANIME
Nel 1992, durante le celebrazioni per il cinquecentenario della cosiddetta “scoperta dell’America”, ci furono anche iniziative solidaristiche tese a evidenziare il punto di vista degli “scoperti”, che avevano ben poco da celebrare, se non l’inizio del più grande genocidio della storia umana. Tra queste iniziative c’era quella di scrivere lettere ai prigionieri nativi rinchiusi nelle carceri americane. Scrissi a due detenuti del braccio della morte di San Quentin, il cherokee Ray ”Running Bear” Allen (Orso-che-corre) e lo yaqui Fernando Eros Caro. Loro mi risposero e da lì è iniziata un’amicizia profonda, finché non mi nominarono fratello adottivo, battezzandomi col nome cherokee “U-wo-li Gi-ga-ge”, che significa Aquila Rossa. La cosa paradossale è che prima dell’avvento dei colonizzatori occidentali molte popolazioni native non avevano prigioni nella loro organizzazione sociale. Nemmeno nel loro vocabolario esisteva la parola “prigione”, proprio perché per loro non esisteva nemmeno il concetto di prigionia. Questo era possibile solo grazie a un livello di giustizia sociale molto evoluto, purtroppo fuori dalla nostra portata. Tutti i dati statistici di ogni epoca storica ci dicono infatti che quanto più è presente l’ingiustizia sociale e quanto più si apre la forbice delle diseguaglianze, tanto più si sente la necessità di adottare soluzioni come le prigioni, percependo queste come qualcosa di ineluttabile e necessario, anche se in realtà non lo è.
PIEDI NUDI SULLA TERRA
Orso-che-Corre e Fernando purtroppo non ci sono più: il primo ucciso nel 2006 con una iniezione letale, quando aveva 76 anni e dopo averne passati 30 nel braccio; il secondo morto nel 2017 per infarto, nel suo loculo di cemento e acciaio, dopo 35 anni di prigionia. Quel che hanno lasciato è però un ricco patrimonio umano, culturale e spirituale, condiviso anche con alunni e studenti di tutta Italia, coi quali loro erano in corrispondenza epistolare. Nel libro Prigionieri dell’uomo bianco, che curai nel 1994, in una lettera Orso-che-corre scriveva: “Non possiamo vedere la luna e le stelle da qui dentro. Sono passati già più di 20 inverni da quando ho potuto vedere Nonna Luna e le nostre cugine, le Stelle. E sono passati più di 20 inverni da quando ho potuto camminare scalzo sulla pelle della Madre Terra. Ho potuto camminare solo su cemento in tutti questi anni. Perciò, qualche volta, togli i tuoi mocassini e cammina a piedi nudi sulla Madre Terra. Fallo per me, per questo vecchio Orso, ok? E qualche notte guarda Nonna Luna e le nostre cugine, le Stelle e trova un bell’albero e abbraccialo per me. Mi mancano tutte queste cose”.
Spesso mi diceva: “loro possono rinchiudere il mio corpo, e lo fanno, ma non riusciranno mai a rinchiudere il mio spirito”. Questo forse il senso di una spiritualità trasmessa dall’altra parte dell’oceano e dal chiuso di una cella, quella di diventare pratica quotidiana per noi che viviamo liberi ma che spesso siamo più prigionieri di chi lo è veramente, incapaci di godere i privilegi di guardare un cielo stellato o di abbracciare un albero.
Naturalmente è illogico e impossibile trasferire o importare per intero la spiritualità di un popolo, dato che questa è condizionata dal contesto, dalla cultura, dall’educazione e dal periodo storico, al massimo possiamo adottarne alcuni aspetti limitati, da adattare alla nostra realtà quotidiana o come fonte di ispirazione. Le persone che invece pretendono di emulare o scimmiottare le culture native sono definite, dai nativi stessi, indiani di plastica.
Tornando a Fernando, diverse volte sono stato a San Quentin per incontrarlo ed ho avuto esperienze strane, a volte surreali. Quando si entra in un braccio della morte i visitatori vengono fatti spogliare nudi e perquisiti, mentre i prigionieri che ricevono la visita ricevono lo stesso trattamento, ma per quattro volte. Questo perché nel penitenziario non deve entrare o uscire assolutamente niente che loro non vogliano. È proibitissimo. La sala delle visite di San Quentin è un enorme stanzone, all’interno del quale ci sono delle minuscole gabbiette di 2 metri per 2, disposte in un perimetro a forma di “U”, attorno a cui fanno la ronda i secondini. Sul tetto della sala si apre una botola, dalla quale un agente armato di fucile automatico tiene di mira la situazione sottostante. In questo clima opprimente avvengono le visite ai detenuti.
QUI C’E’ IL MIO SPIRITO
Durante una delle ultime visite, dove si poteva stare a contatto diretto e senza pareti divisorie, a un certo punto Fernando iniziò a roteare gli occhi in tutte le direzioni, come se stesse cercando di tenere sotto controllo la situazione. Preoccupato gli chiesi se ci fossero problemi. “Devo solo darti un regalo”, mi disse col suo sorriso incredibile, sempre stampato sulla faccia. Iniziai a sudare freddo e a tremare come una foglia per la paura che potesse succedere qualcosa, poi tra le sue mani apparve un medaglione di pelle e perline colorate, con la figura di un’aquila stilizzata, che lui aveva fatto per me. Baciò il medaglione e con gesti rituali me lo fece nascondere sotto la camicia. Quindi, toccandomi sul petto, mi disse: “Qui dentro c’è il mio spirito. A visita terminata vai ed esci tranquillo, lo spirito è invisibile e i secondini non si accorgeranno di nulla”. Mentre ci abbracciavamo, gli promisi che alla visita successiva sarei tornato tenendo il suo medaglione bene in vista, ed è quello che ho fatto. Ci sono persino le fotografie scattate dal personale carcerario a testimoniarlo.
Ancora oggi, pure se Fernando non c’è più, continuo a portare con me il suo medaglione ogni volta che partecipo a qualche iniziativa pubblica sui diritti umani. Posso dire che davvero il suo spirito continua ad accompagnarmi e che questo aspetto della spiritualità per me acquista un senso autentico, non perché derivi da qualche affascinante esperienza letteraria o per aver partecipato a qualche cerimonia o pow-wow, ma proprio perché l’ho vissuto profondamente in prima persona e alcuni elementi di questa spiritualità sono diventati parte inscindibile di me.
In una delle sue lettere Fernando concludeva così: “Tutto quello che ora esiste e anche quello che dovrà venire è imparentato con me, con noi. Siamo tutti nati dalla stessa madre. Oggi Madre Terra è addolorata, vorrei curarla, mi rendo conto però che sono proprio gli umani che invece hanno bisogno di cure. Ma tu resisti e guarda ciò che è intorno a te, poi guarda dentro di te. Siamo solo una traccia sui sentieri del creato. Non temere il domani. Il domani è già fatto da te. La terra è sacra, la vita è sacra, il Cerchio è sacro. Segui tutto questo e vai, vai a raggiungere i tuoi sogni.”