In marcia per gli orsi
Testo e foto di Fabio Conti

Nelle foreste slovene, sulle tracce di questo meraviglioso animale che qui trova cibo e rifugio. Ma anche i fucili, legali, dei cacciatori
La nebbia dona un’atmosfera spettrale al paesaggio. Una volta diradata mostra la foresta in tutto il suo splendore: colori vividi al limite del surreale, boschi di conifere e faggi che rimandano a tempi primordiali. È una sensazione appagante quella di sentirsi parte di un mondo estraneo da contesti urbani, per certi versi ancora remoto e selvaggio.
Nelle foreste slovene dell’altopiano del Monte Nevoso, il fotografo Gabriele Menis piazza alcune fototrappole che si attivano in presenza di fonti di calore. Le sistema su supporti naturali, soprattutto sugli alberi, per ridurre al minimo l’intrusione umana nella vita degli orsi bruni. Le registrazioni saranno utili per monitorarli e censirli. L’indomani mattina saremo in marcia per cercare di incontrarli. Non è possibile sapere con certezza se riusciremo nel nostro intento. Per quanto l’uomo sia portato a voler controllare e prevedere gli eventi naturali, qui regna ancora una logica che a volte il genere umano non comprende appieno. Avrò bisogno di una buona dose di fortuna.
Seguo le tracce: passaggi stampati nel fango oramai asciutto, così frequenti da queste parti da farne riproduzioni in scala, souvenir. Orme di plantigradi, inconfondibili: cinque dita munite di grossi artigli non retrattili. Sono diretto in una delle zone più densamente popolate di orsi bruni, indice di buone condizioni ambientali. Dall’interno di un capanno potrò fotografarli e osservarli meglio, ma dovrò fare il minimo rumore possibile se non voglio che scappino o vengano disturbati. Anche se la vista non è il loro punto forte, penso che mi abbiano già udito e fiutato da tempo. Lo fanno con il muso all’insù, rivolto verso il cielo.
Eccoli
Posso finalmente vederli chiaramente: teste larghe e musi appuntiti, mantello folto con sfumature grigie o nere e una stazza imponente che incute rispetto, sfruttano le risorse naturali della foresta, a cominciare da piante e frutti sebbene siano classificati come carnivori. Non meno rilevante, la foresta dona loro la possibilità di protezione e riparo durante il letargo: un periodo di inattività che comporta loro un abbassamento della temperatura corporea, una riduzione del battito cardiaco e del consumo di ossigeno. Uno stato simile al sonno. Una strategia essenziale per sopravvivere all’inverno, quando gli alimenti di origine vegetale scarseggiano.
Guardandoli, non posso non pensare all’evoluzione di quella che un tempo era un’unica specie vissuta circa venti milioni di anni fa, nel tempo diffusasi a gruppi in ambienti differenti. Oggi l’orso bruno è una delle otto specie di orsi classificati dalla scienza, discendente da quell’antico antenato comune chiamato ursavus. Provo a immaginare il primo incontro tra esseri umani e orsi, probabilmente avvenuto durante l’Età della Pietra, fino ad arrivare ai giorni d’oggi.
Coesistenza
Molto spesso sono storie di condivisione e coesione degli stessi spazi e un rapporto alquanto contraddittorio da parte dell’uomo nei loro confronti: temuti e rispettati, venerati e cacciati. Purtroppo qui in Slovenia la caccia agli orsi è una pratica legale e viene regolata tramite un sistema di quote. La pelliccia è merce preziosa e la loro carne viene servita a tavola, senza contare la continua riduzione dell’habitat in cui vivono e che spesso comporta investimenti stradali dagli esiti fatali. “Gli orsi si trovano al crocevia tra due impulsi umani molto radicati ma in contraddizione tra loro: il desiderio di sentirsi protetti dai pericoli imprevedibili e la brama di natura incontaminata”, scriveva lo studioso Bernd Brunner in Uomini e orsi, una breve storia. E ancora: “la minaccia peggiore potrebbe essere proprio la percezione che noi abbiamo di loro”. Credo che dovremmo ripartire da questi concetti. Nell’immaginario collettivo, molto spesso il genere umano ha attribuito a queste specie il titolo di divoratori di uomini. Niente di più falso. La loro aggressività potrebbe manifestarsi qualora si trovino in condizione di difendere la propria prole o percepiscano minacce nei nostri intenti ma, nonostante esistano delle linee guida e regole comportamentali da seguire, in genere l’orso non è interessato all’uomo. Dovremmo innanzitutto assimilare questa verità per accrescere la nostra consapevolezza e, se necessario, modificare la nostra percezione al fine di sviluppare una coesistenza pacifica. La volontà di salvaguardare il nostro pianeta e le specie che lo popolano è una delle forme più grandi e nobili che l’essere umano possa esprimere. Parliamo di valori che non possiamo permetterci di perdere, da tramandare alle generazioni future. Vedere con i propri occhi attenendosi alle regole, esserci, potrebbe essere il primo passo per estendere la nostra empatia: un sentimento essenziale, una spinta indispensabile per sviluppare quel desiderio di voler proteggere e valorizzare quel tesoro chiamato vita, in tutte le sue forme.
