Corri in Sila
di Roberto Cavallo

E’ tempo di prepararsi per la 3Vette, un ultratrail da 80 chilometri che fa parlare di sé fino in Finlandia e in Canada. Dal 7 al 9 febbraio, su un itinerario che unisce lo sport all’ambiente, tra pini e faggi centenari, accompagnati del respiro del lupo
La Sila è un altipiano che si estende per oltre 150mila ettari nella zona nord della Calabria tra Cosenza, Crotone e Catanzaro. Il nome deriva dal greco e dal latino Silva, foresta. Le antiche denominazioni ci riportano al popolo dei Bruzi che abitava queste zone. Chi ha avuto la fortuna di visitare le grandi foreste del nord Europa o del nord America che si affacciano su grandi specchi d’acqua, che siano fiordi marini o laghi, qui ne ritrova un pezzo! Quando la attraversai per la prima volta di corsa, pur essendomi documentato e in qualche modo preparato al viaggio, ne rimasi colpito: sembrava impossibile risentire il rumore del vento tra pini alti decine di metri che avevo sentito in Scozia o che mi avevano descritto amici che erano stati nella penisola scandinava. Ancora oggi, mentre rivedo le immagini di Mimmo Calopresti che della mia corsa contro l’abbandono dei rifiuti, della quale avevo scritto proprio su questa rivista, ha tratto un film (Immondezza – la bellezza salverà il mondo) resto stupito e più di uno spettatore reagisce a quelle immagini dicendo “sembra il Canada”!
Questa è la Sila!
Una regione abitata fin dall’Homo erectus 700.000 anni fa e poi dall’uomo di Neanderthal che si era stabilito sulle rive del lago Arvo e finalmente dall’Homo sapiens fino ai giorni nostri. I romani ne traevano legname e pece. La Sila è sempre stata un luogo di riparo, lo testimoniano la trentina di comuni della Sila Greca fondati nella seconda metà del 1400 da esuli albanesi che, ancor oggi, mantengono lingua e tradizioni. Riparo non solo per l’uomo, ma anche per molte specie di animali e vegetali. Sono quasi mille le specie che compongono la flora silana ed alcune sono endemiche di questo altipiano, come la Luzula calabra, l’Acer lobelli, la Rosa viscosa, la Genista silana o ancora la Soldanella calabrese. Ma sono gli animali ad affascinare e a farci provare emozioni, così non è raro vedere tracce del gatto selvatico, della donnola, della puzzola, del capriolo e del cervo e di molti altri mammiferi, ma soprattutto del famoso lupo della Sila. Questa ricchezza floro-faunistica è il risultato di una complessità geografica che condiziona la meteorologia. La prima volta che attraversai l’altipiano silano era la prima settimana di aprile: andai a dormire dopo una giornata di corsa al sole e una temperatura di oltre 25 gradi e mi svegliai a Lorica sotto una spanna di neve fresca! Non è raro in inverno e primavera registrare nevicate abbondanti che portano ad accumuli di oltre due metri.
La strada delle Vette
La Sila è attraversata da numerose vie di comunicazione. La più intrigante è la strada provinciale 256, più nota come Strada delle Vette. Questa, che era un’antica pista forestale, unisce le 3 cime più alte della Sila: Monte Scuro (1.640 m), Monte Curcio (1.768 m) e Monte Botte Donato (1.928 m). Dalle vette più alte, quando il vento spazza le nubi e la foschia, e l’aria tersa prende il posto all’umidità, con uno sguardo si possono vedere il massiccio del Pollino a nord, il Mar Jonio a nord-est, il Mar Tirreno e la silhouette dello Stromboli a Ovest, fino all’Etna a sud-ovest. In inverno la strada non viene liberata dalla neve e diventa una pista da sci di fondo di oltre 13 chilometri o una lunga passeggiata con le ciaspole. In rete si trovano molte descrizioni di itinerari che si snodano attorno alla Strada delle Vette: chi ha attraversato la Sila in moto e ne esalta le curve, chi l’ha scoperta in mountain bike, alternando l’asfalto allo sterrato, chi ancora ha provato ad avventurarsi, zaino in spalla, lungo i sentieri che incrociano di tanto in tanto piste forestali e strade asfaltate. La maggior parte di questi itinerari partono da Camigliatello Silano e il più frequentato è senza dubbio il circuito ad anello che, superate le vette più alte, si tuffa verso Lorica e il Lago Arvo di qui raggiunge San Nicola Silano per poi tornare a Camigliatello. È proprio attorno all’idea di unire Camigliatello a Lorica, le vette al lago, lo sport all’ambiente che l’Associazione Dilettantistica Sportiva tmc360 ha lanciato nel 2017 la corsa nelle nevi più a sud d’Europa!
L’ultratrail Sila3Vette: la corsa sulle nevi più a sud d’Europa
Che gli stranieri conoscano e apprezzino più di noi italiani il nostro territorio è, troppo spesso, realtà. Lo è tanto più in quelle aree dell’Italia che restano in gran parte da scoprire dal turismo. Fortunatamente ci sono eccezioni e sono lodevoli! È il caso di Giuseppe Guzzo (Pippo) e Mara Carchidi due innamorati della loro terra calabrese. Così perdutamente travolti dalla passione per la Sila e la Calabria da essersi inventati una manifestazione che abbina sport e turismo in grado di attirare centinaia di persone in pieno inverno. È la Sila3Vette, un ultratrail da 80 chilometri che fa parlare di sé fino in Finlandia e in Canada. Una gara che si svolge di notte su due distanze (40 e 80 chilometri) con partenza e arrivo a Camigliatello Silano.
È tempo di partire
La scritta Sila3 vette s’infiamma e una serie di fuochi d’artificio accompagna il conto alla rovescia. Come sempre nelle gare “ultra” la partenza è una sfilata, c’è tempo per stancarsi ed è inutile sprintare; la partenza al rallentatore colpisce gli spettatori che non conoscono questo tipo di gare, ma un cronometro che si fermerà quindici o venti ore o trenta ore dopo non ha bisogno di guadagnare qualche secondo in partenza. Così c’è tempo per ancora qualche foto ricordo, qualche saluto e si parte per davvero, nella notte, nel bosco, nella neve.
Il percorso
La strada che esce da Camigliatello verso est è asfaltata, ma dura poco, dopo qualche centinaio di metri incominciamo a salire e a calpestare neve e poi a sprofondarci dentro. Per circa un chilometro si sale fino a 1.550 metri, e poi, quasi per magia si prosegue mantenendo la quota per quasi quattro chilometri quando si incrocia per la prima volta la provinciale, completamente innevata, la famosa Strada delle Vette. Uno strappo di poco più di 100 metri e si raggiunge la prima delle vette è il Monte Scuro, dove troviamo anche il primo ristoro della gara, a 10 chilometri dalla partenza. Una motoslitta ci sopravanza. La cosa ci fa piacere perché batte un po’ il tracciato, ma nonostante i ripetuti passaggi la corsa è davvero dura. Passa un’oretta a abbiamo percorso solo altri cinque chilometri: siamo al secondo ristoro e alla seconda vetta, è il Monte Curcio a poco meno di 1.750 metri di altitudine. Riprendiamo la traccia che ripercorre la provinciale e che sale lentamente fino a 1.800 metri. Superiamo Monte Sorbello, Monte Coppo e arriviamo al punto più alto di tutta la gara e di tutta la Sila, a Monte Botte Donato, poco oltre i 1.900 metri di altitudine. Il tempo di un the caldo, almeno per me, perché c’è chi mangia pane e soppressata e un pezzo di pecorino alle due di notte, e si riparte. Un breve tratto sulle piste da sci e ci si addentra nel bosco in discesa verso Lorica. L’aria tra il fitto dei pini genera un suono che ci accompagna, ma che rende tutto più surreale. Dopo poco meno di 35 chilometri di boschi ritroviamo un abitato. È notte fonda e le uniche luci accese sono quelle dell’Hotel Il Ruscello che è il nostro quarto check point. È l’ora più difficile per chi corre: l’alba è ancora lontana e le gambe iniziano a cedere. Qualche quadratino di cioccolato e si ricomincia a salire. Il lago Arvo è alle nostre spalle, nascosto dalla notte. In meno di sei chilometri risaliamo a oltre 1.600 metri. Lo sguardo è rivolto in basso e l’immagine è sempre la stessa: neve illuminata dalla pila frontale. Sono le orme a aiutare il corpo a vincere il sonno. I concorrenti passati prima, qualche uccello e, finalmente, il lupo!
Sulle tracce del lupo
Non è difficile distinguere le tracce del lupo da quelle della volpe o del cane. Intanto sono mediamente più grandi, ma basta osservare i 4 polpastrelli: si vedono chiaramente i due anteriori e i due posteriori; nel lupo i due anteriori sono più avanzati, basta prendere un ramoscello e provare a tirare una riga che unisce le punte dei due polpastrelli posteriori, se la riga tracciata e tangente o comunque non interseca i polpastrelli anteriori allora è certamente un lupo! È il caso nostro! Deve essere scappato sentendo i concorrenti transitare. Ormai albeggia, sono passate circa 12 ore dalla partenza e siamo al quinto check point. Il Rifugio Carlo Magno si appresta ad accogliere i fondisti. Una splendida pista da sci di fondo attraversa questa radura che si estende da est a ovest. Se non fosse che abbiamo studiato bene le cartine, questa zona, alle pendici del Monte Carlo Magno, sembra una cartolina spedita direttamente dalla Finlandia. Attorno al 55° chilometro sulla nostra destra è l’indicazione per il lago Votturino, che di lago non ha più nulla. Un vecchio invaso costruito all’inizio degli anni ’70, utilizzato per circa vent’anni per scopi irrigui, oggi è vuoto. Poco prima del sessantesimo chilometro ci attende il sesto check point. Certamente quello più suggestivo. È la vecchia locomotiva e due relativi vagoni, oggi adibiti a ristorante, che un tempo prestava servizio su questa tratta definita il tetto ferroviario d’Italia dal momento che si snoda a oltre 1.400 metri di altitudine. In realtà si tratta della stazione ferroviaria a scartamento ridotto più alta d’Europa! La locomotiva è parcheggiata nella stazione di San Nicola-Silvana Mansio. Mentre ripartiamo, arriva la corsa turistica che oggi collega Moccone, Camigliatello e San Nicola che scarica un buon centinaio di turisti. Il sole è tornato a scaldare, la neve fonde e inzuppa i piedi. Il traguardo si avvicina e le forze paiono, come per magia, tornare. Percorriamo circa 3 chilometri, non proprio agevoli, sulle traversine ferroviarie, fino alla stazione di Righio, alterniamo boschi a radure fino al fiume Neto, il secondo fiume per lunghezza e portata della Calabria. Stiamo un attimo a guardare le acque scorrere e poi non possiamo fare altro che attraversarlo, tanto la neve a già ampiamente inzuppato i diversi strati di calze che avevamo indossato. L’arrivo è ormai a poco più di dieci chilometri, ma abbiamo ancora il tempo di una bevanda calda all’ultimo check point allestito nell’Antica Filanda di Fallistro. Questo luogo è ricco di storia che inizia nel ’600 come filanda per la lavorazione della seta, trasformata in albergo all’inizio del ’900 per superare la crisi del comparto. Ma la vera ricchezza sta attorno alla Filanda: la riserva biogenetica de “I Giganti della Sila”.
I Giganti della Sila
È il bosco originario piantato nel ’600 e rimasto intatto fino ad oggi scampando ai tagli per lo sfruttamento del legname. Sono i 58 esemplari di Pino larìcio la vera particolarità, alti fino a 45 metri con un tronco di oltre due metri di diametro, un tempo usati per recuperarne la resina utilizzata come combustibile per le torce e per impermeabilizzare le navi. Non abbiamo tempo per incantarci, anche se vorremmo farci rapire dalla storia e dalla maestosità vegetale di queste piante. Ancora un sali e scendi che ci porta a valicare i 1.500 metri per poi riscendere ai 1.300 di Camigliatello. Per me sono passate poco più di 21 ore dalla partenza, c’è chi è già arrivato e sta riposando da 4 o 5 ore e c’è chi arriverà dopo altre 4 o 5, per tutti è stato un viaggio ricco di emozioni, un abbraccio di una terra che val la pena di amare, proprio come fanno Pippo e Mara.
