I limiti della sostenibilità. La scelta tra sistema economico e sistema planetario
di Elena Fusar Poli

Nel mondo europeo ed occidentale, il concetto di sviluppo è spesso presentato come una linea retta destinata a progredire incessantemente. Il paradosso di una crescita infinita su un Pianeta finito
Quale Sviluppo
Il concetto di sviluppo è spesso presentato come universale ed inevitabile: nel mondo europeo ed occidentale, infatti, è naturale concepire la storia come una linea retta destinata a progredire incessantemente. Siamo portati a pensare che lo sviluppo sia di per sé un bene, qualcosa di necessariamente positivo, come pure la crescita. Tuttavia, esistono molte popolazioni che hanno una visione dello sviluppo radicalmente differente, a partire da una concezione ciclica della temporalità. E’ il caso di moltissimi indigeni dell’America Latina, per esempio. La concezione etica dell’ambiente è strettamente connessa al tema dello sviluppo, a partire dal nodo delle risorse. Tanto le prospettive estrattiviste quanto quelle ecologiche odierne dipendono da millenni di pensiero filosofico e quotidiano. Nel mondo occidentale, a partire quantomeno da Aristotele, è stato delineato uno schema di ragionamento fortemente antropocentrico, in cui l’uomo ha il diritto/dovere di governare la natura e trarne il massimo dell’utile. Presso i Mapuche del nord del Cile e dell’Argentina o gli Zapotechi dello stato messicano di Oaxaca, invece, la Terra è una madre , Pachamama,(non come una madre, ma una madre vera e propria), che dispensa i beni necessari alla vita degna di tutti i suoi figli umani e non umani, che convivono in un ambiente inteso nei termini di uno spazio relazionale complesso.
Quale Benessere
E’ evidente come la concezione del benessere non possa essere la stessa se il soggetto è l’uomo o la PachaMama, come lo sviluppo sia un imperativo assoluto o una possibilità da rendere armonica in ogni contesto e persino come la soglia della sostenibilità sia contrattata con maggiore o minor rigore, a seconda che si difenda una foresta perché il disboscamento fa male all’uomo (criterio che necessariamente deve essere mediato con i vantaggi utili dell’utilizzo del legname o del ricavo di profitto) o perché si tratta di una violenza nei confronti della propria Madre-Terra.
Produzione & Consumo
Anche se il presidente degli Stati Uniti di Donald Trump (salvo estemporanei ripensamenti) ha definito il riscaldamento climatico «una balla confezionata dai cinesi», “sostenibilità” è la parola che descrive il modello di sviluppo occidentale, molto utilizzata anche da grosse corporations. Negare la tossicità dello sviluppo dell’attuale sistema di produzione e consumo è decisamente impossibile e di conseguenza la sostenibilità è diventata una categoria obbligata di fronte alla minaccia della fine del mondo o meglio, come dice Elizabeth Kolbert, della sesta grande estinzione planetaria, di cui l’uomo stesso potrebbe essere la causa . Esprimere un giudizio sulle proposte di sviluppo all’insegna della sostenibilità, più o meno genuine, non è affatto semplice, tuttavia, fin quando ci sarà da temere la scomparsa di metà delle specie viventi entro la fine di questo secolo avremo la certezza di essere fuori strada. Nell’ultimo mezzo miliardo di anni il pianeta ha visto almeno venti estinzioni di massa, di cui 5 chiamate addirittura Big Five. Sapere che il sesto grosso cataclisma potrebbe essere causato dalla specie umana non dovrebbe farci dormire sonni tranquilli.
L’impronta umana
Si calcola che l’uomo nella storia abbia trasformato tra un terzo e una buona metà della superficie terrestre, deviato il corso di moltissimi fiumi (negli Stati Uniti mantiene la fisionomia originaria solo il 2% del totale), modificato gli ecosistemi, alterato la composizione e la temperatura dell’aria e dell’acqua. La condizione umana nelle società all’inizio del terzo millennio è molto simile a quella dei dinosauri: rischiamo di essere spazzati via da drastici mutamenti terrestri. Le tempeste distruttive nella prima era interglaciale avvennero con meno di un grado in più di oggi.
La differenza sostanziale rispetto ai grandi sauri è che noi siamo consapevoli e responsabili.
Scenari descritti in film come The day after tomorrow non sono pura fantascienza, infatti numerosi studi sul livello degli oceani ci mostrano chiaramente che questi ultimi hanno visto innalzamenti fino a 9 metri nel corso della storia e i modelli simulati in laboratorio mostrano possibili cambi importanti di temperatura che corrispondono ad un innalzamento ipotetico di 5-9 metri nel prossimo secolo .
La crescita della popolazione ha avuto nella seconda metà dello scorso millennio e continua ad avere oggi un incremento tale da porre il serio problema delle risorse. Il Pianeta è in grado di sostenere questo numero? Dipende dal modello di sviluppo adottato: se tutti seguissero quello in uso nei paesi del cosiddetto primo mondo sicuramente no: abbiamo già superato la capacità portante del Pianeta, unico ecosistema a nostra disposizione. Sperare che migliori condizioni di vita nei paesi più poveri vengano da un’estensione del modello di sviluppo occidentale, compresa la sua versione “sostenibile” è fantascientifico e suicida. Per fare solo un esempio, un italiano medio sta utilizzando le risorse disponibili quattro volte più velocemente di un indiano e il dato più preoccupante è che entrambi stanno consumando il doppio o più del doppio delle risorse disponibili. Applicando a tutti gli abitanti della Terra il modello di sviluppo che molti ritengono essere il più avanzato non faremmo che reiterare il divario economico ad una soglia più vicina al collasso planetario. Per questo è necessario smettere di parlare di sviluppo sostenibile, una contraddizione in termini, per cominciare a pensare a quale tipo di organizzazione sociale possa garantire davvero un futuro a tutti gli abitanti della Terra.
Crescita e sviluppo sono principi imperativi dell’economia classica, economisti contemporanei stanno studiando e applicando nuovi parametri e nuovi indicatori come il MEW (Measure of Economic Welfare) e il calcolo emErgetico, che considerano i costi sociali e ambientali delle società moderne come un valore da sottrarre al PIL, mentre al contrario propongono che molti lavori sommersi e volontari vengano aggiunti, perché generano benessere e sviluppo culturale.
Come dice Serge Latouche, economista della decrescita, “anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.”
I limiti della sostenibilità
I limiti delle proposte di sviluppo sostenibile aumentano notevolmente quando queste decantano nel mondo della politica e dell’applicazione pratica, in cui si prendono misure solo dopo che si sono prodotti effetti irreversibili per la salute delle persone. A ignoranza e inadeguatezza si aggiunge spesso l’incuria di chi deve attuare le misure di controllo e gestione delle risorse comuni e la criminalità di chi inquina deliberatamente. Spesso i traguardi delle conferenze e degli accordi internazionali sono insufficienti fin dall’inizio: gli accordi di Copenhagen del 2009 per esempio, fissano il guardrail del riscaldamento climatico a +2 gradi, quando è evidente che questa soglia è troppo alta perché catastrofi dovute all’innalzamento dei mari a seguito di quello della temperatura si sono viste a limiti inferiori nel corso della storia preindustriale. In ogni caso è chiaro come la cultura ecologica non si possa ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali, ma dovrebbe essere una postura complessiva radicalmente differente.
Consapevolezza e azione
«System change, not climate change» dicono le ragazze e i ragazzi giovanissimi di #FridaysforFuture, il movimento globale ecologista innescato da Greta Thunberg. Negli ultimi mesi sembra che anche nelle società occidentali si stia sviluppando una maggior consapevolezza ambientale, che chiama in causa tanti piccoli e grandi gesti che la società civile può mettere in campo, come il boicottaggio o lo sciopero dei consumi. Esistono tanti progetti che ci danno l’idea di cosa potremmo iniziare a fare almeno a livello locale, come per esempio il food sharing di quartiere di Helsinki, la nuova legge comunale di Herstal in Belgio che vincola la licenza di esercizio ai supermercati alla cessione dei prodotti invenduti alle associazioni di volontariato o l’impegno di reti di piccoli produttori come quelli della rete Genuino Clandestino nella promozione dell’agricoltura contadina. “System change”, quindi, dai massimi sistemi alle azioni quotidiane.
Per saperne di più: Kolbert, E, «The Sixth Extinction? There have been five great die-off in history. This time, the cataclysm is us», in The New Yorker, Maggio 2009; Hansen, J. Et al., « Ice melt, sea level rise and superstorms: evidence from paleoclimate data, climate modeling, and modern observations that 2c global warming is highly dangerous», in Atmos. Chem. Phys. Discuss., 15, 20059-20179, 2015; Galassi, Silvana, Astronave Terra, Roma, Aracne, 2006; Latouche, Serge, Intervento al Bergamo Festival
