Vulcani: Roma e i colli Albani

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Alle porte di Roma c’è un sistema vulcanico più grande di quello del Somma-Vesuvio che, in tempi relativamente recenti, è stato valutato come “quiescente” e non spento.

di Clara Litti

Quando pensiamo ai vulcani, la prima immagine mentale che si forma è quella di una montagna
conica con un buco sulla sommità che erutta lava in continuazione. La lava è rovente e dobbiamo
evitarla ma i vulcani fanno parte del processo che genera e ha generato la vita sul nostro pianeta,
quindi bisogna rispettarli. Anche perchè non abbiamo molta scelta.
In genere le conoscenze dei non appassionati si fermano qui.
Nelle aree battute dai tornado, esistono degli appositi rifugi sottoterra e si evita la tragedia. Con uno
tsunami potrebbe essere più complicato, specialmente per gli abitanti delle coste, ma anche lì
qualcosa ci si può inventare; l’onda anomala che il giorno di S.Stefano del 2004 si è abbattuta
violentemente su tutto il sud-est asiatico ha falciato centinaia di migliaia di vite, ma parecchi si sono
tratti in salvo salendo ai primi piani di un edificio (possibilmente solido) o comunque cercando di
fuggire verso un punto più alto. In molti si sono addirittura arrampicati sugli alberi e ce l’hanno
fatta. Con enormi sforzi e vivendo attimi di puro terrore, ma hanno potuto raccontarlo.
Con alcune tipologie di vulcani questo non accade.
Se resti a vedere lo spettacolo da vicino poi non lo racconti.

I vulcani non sono tutti uguali

I vulcani sono come le persone, non sono tutti uguali. A seconda del punto specifico in cui sorgono
e da cosa sono alimentati, possono avere comportamenti diametralmente opposti.
C’è la tipologia che consente di osservare da pochissima distanza uno spettacolo indimenticabile e
colorato. I fiumi di lava fluida e rosso fosforescente delle Hawaii ne sono un ottimo esempio.
Le cime dei vulcani sempre attivi sono sterili, prive di vegetazione e ricche di gas maleodoranti. La
forza e la potenza dei fiumi di lava che fuoriescono regolarmente da queste montagne e che
vediamo piroettare in artistici giochi di fuoco, non spaventano gli scienziati. Questi vulcani, detti
“effusivi”, sono i buoni. Il loro magma è basico, poco viscoso e scorre fluidamente.
Con un po’ di attenzione non fanno male a nessuno.
Ci sono altre montagne che invece sono ricoperte di vegetazione, con tanto di fauna che vive
stabilmente in loco e le cui pendici sono talmente fertili da attirare insediamenti umani, allettati da
vigneti che producono vini di fama mondiale, ad esempio, o da produzioni agricole più abbondanti
del normale e di ottimo sapore. Gli ulivi che crescono alle loro pendici forniscono un olio di qualità
sopraffina. Non sembrano neanche vulcani, con i loro paesaggi da cartolina e l’abbondanza di vita
che ospitano. Questi non sono tanto teneri. Il loro magma ha una composizione già diversa in
partenza dai vulcani della tipologia hawaiiana, è più acido e ricco di gas che restano intrappolati
nelle rocce e il suo scorrimento è lento e difficoltoso. Più a lungo resta fermo nella camera
magmatica più si arricchisce di componenti che lo rendono ancora più acido e gassoso. In una
parola, fa il tappo e non riesce a sfogarsi all’esterno, diventando così una sorta di bomba a
orologeria. Maggiore è il tempo che intercorre tra un’eruzione e l’altra, maggiori sono i potenziali
danni che potrebbe causare al momento dell’esplosione. Questi vulcani non fanno “le fusa”,
esplodono e tanti saluti a chi si trova nelle vicinanze.
La classificazione è infinitamente più complessa di questa, per essere geologicamente corretti
occorrerebbe parlare di archi insulari, punti caldi, dorsali oceaniche, margini e rift continentali. Per
il momento, accontentiamoci.
Spesso però le differenze non sono così nette e la maggior parte dei vulcani ha un’attività mista sia
effusiva che esplosiva.
E’ il caso del nostro vulcano di oggi, i Colli Albani.

Vulcano Laziale

Sappiamo tutti che Nerone ha fatto un lavoretto di fino nel dare fuoco a mezza Roma, ma il Vulcano
Laziale lo ha preceduto e battuto.
Prima che cominciassi a comprendere vagamente l’argomento, i Colli Albani per me erano solo una
fermata della metropolitana.
Ammetto di essere rimasta sbalordita nell’apprendere che alle porte di Roma c’è un sistema
vulcanico più grande di quello del Somma-Vesuvio e che in tempi relativamente recenti sia stato
valutato come “quiescente” e non spento.
Stupore e meraviglia: ma il mostro di Roma non era estinto come i brontosauri?
In rete si trovano centinaia di pagine dedicate ai Colli Albani e ai vulcani in generale, ma le notizie
che riportano sono spesso discordanti o eccessivamente catastrofiste.
Per non rischiare di incappare in voci di corridoio e leggende metropolitane, abbiamo chiesto la
supervisione di due esperti dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia): Piergiorgio
Scarlato, responsabile dei laboratori sperimentali della sezione di sismologia e tettonofisica e Tullio
Ricci, ricercatore e vulcanologo.
L’ evidenza scientifica, sfrondata di tutti gli aspetti sensazionalistici, è che l’apparato dei Colli
Albani non può essere considerato estinto. La sua storia eruttiva prevede intervalli di tempo anche
di 45 mila anni e dall’ultimo episodio ne sono trascorsi circa 36 mila, parlando esclusivamente di
datazione della componente magmatica, ovvero di eruzioni vere e proprie. Qualche studio parla di
eruzioni gassose che avrebbero provocato fenomeni di tracimazione delle acque del lago Albano,
con catastrofici fiumi di fango (lahar) in date molto più recenti, ma secondo gli esperti dell’INGV
non ci sono abbastanza dati che lo confermano e restano solo delle ipotesi.
Comunque le fuoriuscite abbondanti di gas, quali anidride carbonica, idrogeno solforato e radon
suggeriscono ancora una qualche attività.
Nel 1999 morirono 29 mucche che pascolavano in una valle dove si era creata una forte
concentrazione di anidride carbonica e nel 2001, oltre ad altri 30 capi di bestiame, persino un uomo
morì per le esalazioni tossiche dovute all’attività vulcanica in stato di “quiete”.
Ancora oggi sono in vigore delle speciali misure precauzionali per chi abita ai piani bassi di zone
come Ciampino, Marino e dintorni. In assenza di vento, le emissioni gassose possono accumularsi
in basso e intossicare a morte persone e animali.
Tra gli anni ’80 e ’90 ci fu un forte aumento di sciami sismici, presenti comunque da sempre
nell’area dei Colli Albani.
Stiamo parlando del sud del Lazio, a circa 15 km da Roma, una zona conosciuta anche con il nome
di “Castelli Romani”.

Facciamo un passo indietro. Anzi, qualche milione di passi indietro.

Circa 5 milioni di anni fa (nel Pliocene) l’area su cui oggi sorge Roma era completamente sommersa
dal mare.
Più “recentemente”, per utilizzare un eufemismo geologico, (circa 900mila anni fa) il margine
tirrenico laziale ha iniziato a sollevarsi, portando pian piano alla totale emersione dell’area romana.
Parallelamente è iniziata anche un’intensa attività magmatica e la conseguente formazione di edifici
vulcanici.
Tutta l’area tirrenica, dalla Toscana alla Campania, è frutto della storia geologica più recente del
Mediterraneo e alcune di queste trasformazioni sono ancora in corso. I vulcani toscani sono quelli
più antichi, come il monte Amiata, che ha da tempo cessato l’ attività ma che con il suo calore
alimenta centrali geotermiche che forniscono circa il 27% del fabbisogno energetico regionale.
Alcuni sostengono sia tutt’altro che energia pulita e che abbia incrementato malattie polmonari e
alcune tipologie di tumori. Ma questa è un’altra storia.
In seguito, scendendo verso sud, si sono formati i vulcani del Lazio tra cui i nostri Colli Albani che
mostrano ancora attività, fino ad arrivare ai più recenti e pericolosi vulcani della Campania.
Ma il rapporto tra uomo e vulcani non è certo a senso unico. E’ vero che l’equazione è sempre:
vulcano eruttare = uomo scappare, ma poi torna. Invariabilmente. Altrimenti non si spiega perchè
l’uomo si ostini a colonizzare le pendici di questi bestioni che oggi sono quieti e domani chi lo sa.
Roma ha la fortuna di sorgere sui prodotti eruttivi di ben due sistemi vulcanici diversi: i Colli
Albani a sud e il distretto vulcanico dei Monti Sabatini, per intenderci la zona del lago di Bracciano,
a nord/ovest di Roma.
Una piccola curiosità: contrariamente a quanto si pensi, il lago di Bracciano non è la caldera di un
vulcano, ma uno sprofondamento dovuto in parte al crollo della porzione sommitale di una
gigantesca camera magmatica ormai svuotata che alimentava i vulcani della zona, come Trevignano
e Vigna di Valle, in parte alle forze tettoniche distensive (faglie) che in quel periodo erano molto
attive nel Lazio.
Anche se sono tutti vulcani del Lazio, la denominazione “Vulcano Laziale” è propria solo dei Colli
Albani.

Vediamo cosa ha lasciato in eredità alla città di Roma.

Il complesso vulcanico Albano, simile al più piccolo del Somma-Vesuvio, è formato da un’immensa
caldera con un diametro di circa 15 km, collassata nel settore nord/ovest che si affaccia direttamente
su Roma. La forma circolare dei Monti Tuscolani e dell’Artemisio rappresenta ciò che resta
dell’apparato vulcanico più antico, cui si attribuiscono le eruzioni più esplosive e violente che hanno
rifornito abbondantemente l’area romana di tufo calcareo, di pozzolane rosse, nere e di un altro tipo
di tufo detto “lionato”.
In seguito, al centro della caldera, è sorto un nuovo cono vulcanico, il monte delle Faete che ha dato
inizio ad una fase esplosiva più moderata della precedente, aiutato anche da una notevole quantità di
bocche laterali. Dalle massicce colate laviche si ricavano invece i famosi “sanpietrini”. E non solo: i
romani sfruttarono la colata lavica più famosa (quella di Capo di Bove) che arriva alle porte di
Roma per costruirci sopra la via Appia, approfittando del percorso pianeggiante, naturalmente
rettilineo e sopraelevato rispetto al terreno circostante.
L’ultima e più recente fase eruttiva dei Colli Albani vede interagire esplosivamente il magma con
delle falde di acque sotterranee; le roccie si disgregano, vengono lanciate in aria a brandelli misti a
vapori e i prodotti di ricaduta, una volta raffreddati, formano gli accumuli di materiali noti come
“peperini”, largamente utilizzati in edilizia.
Tutti questi materiali, diversi tra loro per colori, composizioni e utilizzo, hanno probabilmente fatto
la fortuna di Roma. Mezza città è costruita con tufo e travertino dei Colli Albani.
E’ di un paio di anni fa la notizia che sarebbe stato risolto il mistero della famosa “malta di
Vitruvio”, un architetto romano che nel 30 a.C. studiò una ricetta per la malta a base di calcare e
sabbia vulcanica che ha aiutato i monumenti romani a sopravvivere a 2000 anni di terremoti e
inondazioni. Le pozzolane rosse e nere di cui sopra, sarebbero la chiave per la durata dei
componenti in calcestruzzo dei monumenti ancora strutturalmente sani dopo più di due millenni di
utilizzo. Ultimo e forse più importante elemento è la preziosissima acqua, di cui le zone vulcaniche
sono più che ricche: i Colli Albani ci hanno lasciato varie sorgenti sulfuree per le terme ma anche
minerali, tra cui la fonte Egeria, nota anche come l’Acqua Santa di Roma.
E’ anche una zona ricca di castagneti, vigneti e uliveti, come dicevamo all’inizio, di qualità davvero
elevata. Per non parlare dell’estrazione di zolfo e di altre varietà minerali.. insomma, la lista
potrebbe allungarsi ancora di molto.
Come abbiamo visto, i vulcani ci mostrano in modo inequivocabile il significato della polarità
dare/ricevere che, per quanto difficile, dovrebbe sempre mantenersi in equilibrio, sia in natura che
nel sistema uomo: creano e distruggono, tolgono e regalano, sterilizzano e rendono fertile.
Oggi abbiamo in eredità una zona bellissima e ricca di storia con i laghi di Albano e Nemi
incastonati tra una serie di vette che ne bordano le circonferenze.
Quasi dimenticavo: l’edificio vulcanico dei Colli Albani, oltre ad essere sismicamente attivo, è in
sollevamento e negli ultimi 90 anni si è innalzato di circa 66 cm con il picco massimo centrato nella
zona che ha dato attività vulcanica più recente, ovvero il lago Albano.

Nessun pericolo imminente comunque.

Nell’uovo di Pasqua dei Colli Albani potrebbe esserci
ancora la sorpresa e quasi sicuramente non sarà un portachiavi. Ma altrettanto quasi sicuramente ci
riguarderà fra qualche migliaio di anni. Queste sono le stime.
Purtroppo i vulcani non emettono comunicati stampa per avvisare del loro risveglio, ma possono
dare una serie di segnali che gli esperti sanno interpretare. O possono provare a farlo.
La vulcanologia non può essere una scienza esatta: diciamo che la natura ha permesso all’uomo di
comprendere alcune macro dinamiche che la governano, ma ciò che accade nel “micro” e le
conseguenti innumerevoli variabili che ne derivano, non permettono né allo scienziato né a
chiunque di avere “tutto sotto controllo”.
Nel 1993 un’equipe di vulcanologi che stava studiando il Galeras in Cile, ha pagato caro questo
margine di incertezza che è presente in tutte le scienze: il vulcano ha eruttato improvvisamente
causando la morte di 3 escursionisti e 6 scienziati, scesi fin dentro il cratere per raccogliere
campioni di gas e minerali.
Viviamo su un sistema instabile, facciamocene una ragione. Per questo dovremmo stare attenti a
non turbarne l’equilibrio in alcun modo. Non che la mano dell’uomo possa fare la differenza nei
macro sistemi, almeno nella maggior parte dei casi, ma siamo più numerosi che in qualunque altra
epoca, quindi consumiamo, inquiniamo e danneggiamo come mai visto prima. Questo può fare la
differenza? Non si parla più di mano dell’uomo, ma di sette miliardi di mani che si protendono per
afferrare anche ciò che non gli spetta. La nostra cultura dell'”usa e getta” prima o poi ci presenterà il
conto. Anzi, forse ha già cominciato.
L’apparato dormiente dei Colli Albani intanto veglia sulla Città Eterna e speriamo la mantenga tale
il più a lungo possibile.