Acqua dal Sole

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Il racconto di un’esperienza portata avanti in Marocco dall’onlus Bambini del Deserto: creare un impianto fotovoltaico per pompare acqua e irrigare venti ettari di terreno coltivato. Con l’obiettivo “segreto” di fermare la desertificazione e l’avanzare delle zone aride. E dare più forza alla formazione professionale dei giovani

di Simona Ottolenghi e Roberto Gabriele

Correva l’anno 2008 quando andai in Madagascar e mi misi in testa di voler fare qualcosa per l’Africa. Volevo trovare il modo di creare un impianto fotovoltaico, farlo funzionare e andare a fotografarlo per un mio libro.

La parte più difficile stranamente non è stata quella finanziaria: c’era il sostegno di Marco Gaeta, un imprenditore di Latina. Avevo però bisogno di una ONG già presente sul territorio e che individuasse i Beneficiari diretti del nostro Progetto, qualcuno che lo volesse, che ne avesse bisogno… Impiegai ancora un anno a trovare Bambini nel Deserto, una ONLUS trasparente, solida, fattiva che era già molto impegnata in tutta l’Africa Occidentale e sub-Sahariana.

Il Beneficiario lo trovammo in Marocco, al sud, fuori dai percorsi turistici in una cittadina priva di alcun tipo di importanza paesaggistica e architettonica ma giovane e piena di scuole con le quali lavorare bene.

Bambini nel Deserto aveva un Progetto di ampio respiro da quelle parti, proprio mirato a quei giovani studenti che sarebbero diventati il futuro delle loro famiglie. Si cercava di affrontare lo sviluppo di quell’area al confine con il Deserto del Sahara, con iniziative volte alla formazione professionale per giovani marocchini nella progettazione e installazione di sistemi fotovoltaici. Avevamo previsto di creare un’impresa locale che ci portasse ad una concreta azione di contrasto alla migrazione attraverso la formazione professionale e l’avvio di una startup che diventasse autonoma. E il nostro progetto altamente ecologico ed ecosostenibile aveva anche un altro scopo: fermare la desertificazione e l’avanzare delle zone aride.

Ci stavamo apprestando a costruire il più grande impianto fotovoltaico (non governativo) di tutto il Marocco: grazie ad esso l’anno successivo BnD avrebbe vinto il suo primo Energy Globe Award, il prestigioso riconoscimento internazionale per i progetti in cui il sapiente uso delle energie rinnovabili migliorano la qualità della vita e in particolare nei paesi in via di sviluppo.

L’agronomo Pino Nerilli stabilì la necessità di questo impianto fotovoltaico nell’Oasi di Tigzmirte, nei pressi di Tata, al limitare del deserto. Si tratta di un impianto “ad isola”, perfettamente in grado di funzionare da solo senza alcuna connessione con la rete elettrica di distribuzione e serve a produrre l’energia necessaria per una pompa che durante il giorno preleva acqua da un pozzo e la spinge in un bacino di raccolta; da qui va ad irrigare 20 ettari di terreno coltivato nell’oasi dove lavorano 80 famiglie di agricoltori, per un totale di circa 600 persone beneficiarie del Progetto.

Il Bacino di raccolta costruito in cemento armato è stata l’idea vincente poiché ha permesso di pompare in superficie l’acqua dal sottosuolo durante il giorno con l’energia dei pannelli fotovoltaici e di irrigare i campi durante la notte quando, grazie all’assenza di insolazione, l’evaporazione è minore e i campi restano umidi più a lungo, sfruttando così al meglio le risorse disponibili.

L’impianto è in grado di produrre in modo completamente automatico l’energia necessaria per alimentare una pompa ad immersione (donata dalla ditta Tronchin di Latina), appositamente studiata per il fotovoltaico: funziona in corrente continua senza batterie né inverter azzerando così i rischi di impatto ambientale (niente piombo, nessun solvente) e riducendo drasticamente anche i costi di impianto e di esercizio. La pompa si aziona al sorgere del sole e invia l’acqua ad un bacino di raccolta sopraelevato rispetto al terreno coltivato e continua a produrre acqua fino a quando il bacino (100 metri cubi al giorno) risulta pieno, poi si spegne automaticamente. L’acqua raccolta durante il giorno viene distribuita aprendo le chiuse del bacino e irriga i campi con un impianto goccia a goccia che riduce gli sprechi e le dispersioni di acqua.

La ONG partner di questo progetto (CISS, Cooperazione Internazionale Sud Sud di Palermo) si incaricò di convincere i proprietari delle terre dell’oasi a costituirsi in cooperativa per avere una comune gestione dell’acqua. Nel deserto il concetto di proprietà privata è molto sentito ed è invece quasi sconosciuto quello di collaborazione, di cooperazione. Si è dovuto fare prima un lungo intervento di sensibilizzazione al problema, per poi riuscire a trasferire loro il concetto che l’impianto era utile a tutta la comunità. La debole economia dell’oasi -che vive della piccola produzione di piantine di menta per il thè, di ortaggi e palme da dattero- ne avrebbe tratto di sicuro giovamento.

Infine per limitare l’evaporazione in una fase successiva di rifinitura e migliorare ulteriormente l’efficienza dell’impianto, abbiamo provveduto a piantare 10.000 pale di fico d’india (costo 30 centesimi di Euro l’una per un totale di trecento euro!) che, crescendo spontaneamente senza ulteriori cure umane, creeranno una naturale barriera: un muro di fichi d’india che contorna il perimetro dell’oasi per proteggerla dal vento del deserto che contribuisce a seccare il terreno dall’acqua con il quale è stato irrigato.

Con nostro grande orgoglio e soddisfazione il 19 marzo 2011, durante la Giornata Mondiale dell’Acqua, l’impianto venne terminato e inaugurato con una grande festa tra le palme dell’oasi alla presenza delle Autorità di Tata e di tutta la Comunità dei contadini.