Difendiamo i Guardiani

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Difendiamo i Guardiani

di Enrico Ceci

Come in un passato che ritorna, il rischio dell’etnogenocidio delle popolazioni indigene amazzoniche è molto concreto. Perdita di vite umane, di cultura e tradizione ma anche, considerato il loro ruolo nella conservazione della biodiversità, della foresta stessa


Le cifre della pandemia in Amazzonia sono spietate, anche se calcolate per difetto. I dati più attendibili – quelli raccolti dal Congresso delle organizzazioni indigene amazzoniche (Coica) che rappresenta tre milioni di abitanti nativi e dalla Rete ecclesiale panamazzonica (Repam) – parlano di 156mila contagiati e 7.449 morti tra le popolazioni amazzoniche. Il virus si è già diffuso in almeno 60 gruppi etnici tra quelli che vivono ai margini della foresta e continua la sua avanzata verso le aree più interne.

Molto preoccupante è la situazione nell’area della Triple Frontera, lì dove Brasile, Perù e Colombia si incrociano. Si tratta di frontiere estremamente permeabili ai traffici, spesso illegali, e punto di contratto tra l’esterno e le riserve indigene. Qui nessun lockdown ha fermato l’estrazione di petrolio e di minerali, il taglio e il trasporto di legname, la coltivazione e il traffico di coca e, di conseguenza, la diffusione del virus anche tra le popolazioni più isolate.

Oggi la percentuale di persone positive in quest’area arriva allo 0,97% (il triplo dell’Italia) e ben il dieci per cento di tutti i decessi avvenuti in Brasile per Covid-19 si registrano nella regione amazzonica.

Rischio etnogenocidio

Come in un orribile passato che ritorna, il rischio dell’etnogenocidio, di un’estinzione fisica e culturale delle popolazioni indigene amazzoniche è molto concreto.

Non sarebbe la prima volta, infatti, che interi popoli privi di anticorpi specifici vengono sterminati da un virus. All’arrivo degli Europei nella foresta pluviale amazzonica fu il vaiolo a spazzare via intere comunità. Poi furono i raccoglitori di gomma a diffondere la malaria, il morbillo e l’influenza. Oggi sono i lavoratori dell’industria estrattiva, del legname, dell’allevamento, i narcotrafficanti e, a volte, anche gli operatori sanitari a diffondere il SARS-CoV-2.

Se possibile, il rischio attuale è ancora più grave perché le popolazioni indigene sono più fragili, indebolite come sono da stili di vita insani ed estranei alla loro cultura, e più fragile è il loro ambiente. La storia dei popoli amazzonici è da sempre una storia in bilico tra la forza e la magia della foresta e la violenta e permanete esplorazione ed espoliazione dei territori. Da oltre quattro secoli la loro identità originale è sottoposta a pressioni e shock culturali esterni e il tentativo in corso di ricostruire un’identità, e un modo di vivere, capace di armonizzare le nuove conoscenze con la conservazione della natura rischia di andare perduto con la scomparsa, a causa del Covid-19, degli anziani, i custodi della cultura e delle tradizioni orali.

Guardiani della foresta

 Perdita di vite umane, di cultura e tradizione ma anche, considerato il ruolo vitale che le popolazioni indigene rivestono nella conservazione della biodiversità, del loro ambiente naturale. Che è anche il nostro.

La spoliazione delle risorse, l’esplosione di progetti di estrazione e di sfruttamento agricolo sono già un pericolo per uno dei più importanti polmoni verdi dell’umanità, scrigno di biodiversità ed elemento regolatore del clima planetario.  Il rischio è che tutto questo non sopravviva al Covid-19.

Salvare i popoli nativi è salvare l’Amazzonia. Studi diversi sono arrivati ad una stessa conclusione: le comunità indigene e locali gestiscono e si prendono cura di quasi l’80% della biodiversità terrestre. I tassi di deforestazione all’interno delle foreste gestite dalle popolazioni native, grazie alla loro profonda conoscenza di piante e animali, sono tre volte inferiori di quelli esterni.

I popoli indigeni, sono dunque una cura e una difesa per la foresta. Quest’opera di conservazione, però, confligge con i tanti interessi economici che gravano su quelle aree e per questo le popolazioni indigene e i loro diritti sono da tempo sotto attacco. Basti pensare che in Amazzonia 35 multinazionali lavorano senza controlli e senza autorizzazioni. Chi si oppone ai loro interessi rischia di essere assassinato o criminalizzato. Solo nel 2018 ben 164 difensori dell’ambiente sono stati uccisi nel mondo e un terzo degli omicidi è avvenuto in Amazzonia.

La situazione si è ulteriormente aggravata nel Brasile di Jair Bolsonaro. Da quando è stato eletto presidente, nel gennaio del 2019, con le sue dichiarazioni pubbliche a favore all’invasione delle aree indigene per “usi più produttivi” ha scatenato un’ondata di persecuzioni e intimidazioni verso le popolazioni indigene e molti sequestri illegali delle loro terre da parte di taglialegna e minatori.

Secondo il monitoraggio del progetto Amazon andino (MAAP), negli ultimi dodici mesi il numero di incendi in Brasile è aumentato dell’84 percento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

La salvaguardia dell’Amazzonia ha bisogno – come dichiarato da Maurício Yukuana, direttore di Asociación Hutukara Yanomami – di una nuova alleanza capace di integrare tra loro le conoscenze degli scienziati con quelle indigene nell’elaborazione di una strategia sui cambiamenti climatici.

Oggi, la difesa dei diritti delle comunità indigene e locali e il rafforzamento delle loro economie rappresenta la sola vera opzione per la tutela della foresta e per combattere il climate change.

Salvare gli indigeni per salvare il Pianeta

Le infrastrutture sanitarie, l’accesso alla salute e all’informazione sono sostanzialmente negate alle popolazioni indigena. José Gregorio Díaz Mirabal, presidente del Coica ha chiesto aiuto all’Organizzazione mondiale della sanità e lanciato un Fondo d’emergenza per l’Amazzonia.

Il Fondo, a cui partecipano oltre il Coica diverse organizzazioni indigene nazionali e 19 organizzazioni non governative, tra cui Amazon Watch, Rainforest foundation US, Amazon Frontlines e Rainforest action network, ha l’obiettivo di raccogliere almeno cinque milioni di dollari per comprare e distribuire tra le comunità indigene beni essenziali come cibo, equipaggiamenti di protezione e medicine.

Gli Uffici delle Nazioni Unite per i diritti umani per il Sud America, e la Commissione interamericana per i diritti umani (IACHR) hanno dichiarato che il COVID-19 è una delle maggiori minacce agli stili di vita delle popolazioni indigene in Amazzonia e per questo hanno esortato hanno esortato gli Stati che detengono la sovranità nella regione a proteggere la sopravvivenza e i diritti delle popolazioni indigene. Specie di quelli in isolamento volontario o a contatto iniziale.

Le Nazioni Unite si sono espresse anche contro la continuazione di quelle attività di “sviluppo”, economiche ed estrattive che ostacolano le misure di distanza o di isolamento scelte dalle comunità e sollecitato un sostegno socioeconomico, culturalmente appropriato, per queste popolazioni indigene in Sud America, e alle loro misure di auto-cura. L’Onu, inoltre, invita gli Stati che esercitano la loro autorità su quei territori, ad ampliare la partecipazione delle autorità indigene in tutti i processi decisionali sottolineando l’importanza dell’autogoverno e dell’autodeterminazione specie nella fase post pandemia. Perché le conseguenze possano essere mitigate e i danni recuperati è necessario porre al centro dell’azione le priorità di sviluppo delle popolazioni indigene.  In fase di progettazione, attuazione e valutazione dei piani, gli Stati devono garantire processi di consultazione che siano liberi e informati, culturalmente appropriati e in buona fede su qualsiasi scelta politica capace di influire sui diritti e sugli interessi delle popolazioni native.