Il sol dell’avvenire. E’ tempo di rinnovabili

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Il sol dell’avvenire. E’ tempo di energie rinnovabili

Di Rosario Mascia

In Italia e nel mondo serve un’acellerazione netta verso le fonti rinnovabili, sopratutto quelle che utilizzano il calore del sole e il vento delle correnti. Come riporta l’ultimo rapporto dell’IPCC – l’organismo intergovernativo che monitora le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche prodotte a livello internazionale – la temperatura sul nostro pianeta è già cresciuta, rispetto all’era preindustriale, di 1,1° C. Considerando che i tre quarti delle emissioni di gas serra arrivano dal settore energetico e che quasi l’85% dell’energia consumata viene ricavata dalla combustione di materiali fossili, mentre le rinnovabili (compreso l’idroelettrico) raggiungono appena l’11%, va da sé che per centrare gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 occorrerà rivoluzionare le modalità di produzione dell’energia, l’alimentazione dell’industrie, i sistemi di riscaldamento delle abitazioni, i mezzi di trasporto.

COSA E COME LE RINNOVABILI?

Sicuramente dobbiamo procedere ad un drastico efficientamento energetico. Occorre migliorare le tecnologie, i dispositivi e le abitazioni perché, senza compromettere la qualità dei servizi, consumino meno energia e procedere all’elettrificazione dei trasporti, del riscaldamento civile e, dove possibile, dell’industria. Ovviamente parliamo di energia prodotta da fonti rinnovabili, come il solare e l’eolico, che, come riporta il World Energy Outlook 2021, rappresentano oggi la fonte di generazione di energia elettrica più economica”. Oltre che in grado di generare milioni di nuovi posti di lavoro. Il rapporto Net Zero by 2050, pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) a maggio di quest’anno, propone un percorso a tappe, da coprire nei prossimi 30 anni, per riuscire a contenere il riscalamento climatico globale all’interno dell’1,5° C.

La prima scadenza è già davanti a noi. Fin da quest’anno, infatti, non dovrebbero più essere aperti nuovi pozzi petroliferi e non dovrebbero essere autorizzate nuove estrazioni di gas. Tra quattro anni non dovrebbero più essere poste in vendita le caldaie a gas. Tra meno di dieci, il 60% delle auto vendute dovrebbero essere elettriche e, entro il 2035, non dovrebbero più essere vendute quelle a combustione interna. Entro il 2040 il 50% degli edifici dovrebbe essere ad emissioni zero e, per il 2045, tutti i veicoli circolanti dovrebbero essere elettrici e le industrie alimentate ad idrogeno. Il 2050 dovrebbe vedere quasi tutti i settori già elettrificati e la produzione energetica fondata al 90% sulle rinnovabili. Un quadro dove fotovoltaico ed eolico fanno la parte del leone con ben il 70% del totale. Lo stesso rapporto, inoltre, esclude che l’energia nucleare possa accrescere significativamente i suoi valori percentuali. Per quanto a quel 10% che non sarà possibile elettrificare, l’IEA ritiene necessario catturare almeno 7,6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica prodotta in eccesso da qui al 2050. Certo, scorrendo le tappe necessarie, e le conseguenti trasformazioni radicali, non si fatica a comprendere perché il rapporto Net Zero by 2050 giudica quella che abbiamo davanti “la più grande sfida che l’umanità abbia mai dovuto affrontare”.

COSTI E RISCHI

Una sfida enorme che, fortunatamente, è resa praticabile dalla discesa continua dei costi di produzione dell’energia da fonti rinnovabili. Il rapporto dell’International Renewable Energy Agency pubblicato nel 2021 afferma che “il solare fotovoltaico e l’eolico sono, sempre di più, la fonte di elettricità più economica in molti mercati”. Una conferma sulla praticabilità ed economicità viene anche dal Dipartimento dell’energia statunitense che, nel suo rapporto Solar Futures Study, afferma la capacità statunitense di poter accrescere la produzione di energia elettrica da solare dall’attuale 4% al 40% entro il 2035, fino ad arrivare al 45% nel 2050. Nello stesso studio, si stima una crescita dell’eolico fino al 36% del paniere. In questo modo solare ed eolico sarebbero in grado di produrre il 75% dell’energia elettrica statunitense. Anche l’India, sebbene abbia fissato al 2070 il raggiungimento della neutralità climatica, ha dichiarato di voler produrre, entro il 2030, il 50% della sua elettricità da fonti rinnovabili. Mentre la Cina, che ha fissato la neutralità climatica al 2060 ed è ancora molto dipendente dal carbone, punta a generare 1200 GW da fonti rinnovabili.

Naturalmente si tratta di obiettivi che richiedono una fortissima accelerazione nell’installazione di parchi solari ed eolici, e quindi la necessita di imponenti investimenti economici. Oltre agli investimenti, inoltre, c’è da considerare l’enorme quantità di “minerali critici” indispensabili a comporre le batterie e i sistemi di accumulo indispensabili per accumulare l’energia elettrica prodotta da fonti discontinue come l’eolico e il solare. In previsione, la domanda di litio potrebbe aumentare di 40 volte, quella di grafite di 25 volte, quella di cobalto e nickel di 20 volte, quella delle cosiddette terre rare di 7 volte. Ecco che la disomogenea distribuzione delle materie prime – e le diverse capacità estrattive di questi minerali – potrebbe essere foriera di una serie tensioni sociali, geopolitiche ed economiche tali da rallentare la transizione. Fondamentale sarà allora, sia questioni di sicurezza geopolitica che ambientali, la capacità di riciclare i minerali già estratti all’interno di una sana economia circolare. Oltre ad un efficiente sistema di accumulo l’energia rinnovabile deve essere accompagnata da una rete di distribuzione intelligente capace di mettere in comunicazione le centrali di autoproduzione e quelle centralizzate, di ottimizzare la distribuzione, minimizzare i sovraccarichi e le variazioni di tensione.

ITALIA 2050

La situazione italiana, in vista del 2050, richiede che vengano installati, da qui al 2030, almeno 7 GW ogni anno. Obiettivo raggiungibile se consideriamo che nel 2010 e 2011 nel nostro paese sono stati installati 6 GW ma lontanissimo dal ritmo degli ultimi 5 anni che ci hanno sempre visto sotto un GW all’anno. Le cause di questo forte rallentamento vanno ricercate nei lunghi iter autorizzativi e burocratici ma anche nell’ostilità dei territori verso strutture percepite come ingombranti. È pensabile una virtuosa regolamentazione dell’agrivoltaico, il modello di produzione energetica che si propone come una simbiosi tra alcune culture o allevamenti e l’installazione di pannelli fotovoltaici? Alcuni esempi suggeriscono che l’ombreggiatura dei pannelli apporti benefici in termini di resa produttiva e di risparmio di acqua in campo agricolo e vantaggi in alcuni allevamenti, come quello degli ovini. Secondo i calcoli di diverse associazioni ambientaliste, la quantità di suolo agricolo da destinare al fotovoltaico rappresenterebbe circa il 2% (70mila ettari) della superficie agricola non utilizzata. Il ministro per le politiche agricole Stefano Patuanelli, però, si è già espresso contro l’utilizzo di suolo agricolo a fini energetici. Anche se il PNRR ha destinato 1,1 miliardi di euro proprio all’agrivoltaico. C’è poi la questione del consumo di suolo. Perché non è detto che, al raggiungimento dell’obiettivo, sia sufficiente l’utilizzo di tetti, aree dismesse e parcheggi.  Si tratta, quindi, di un processo complesso, per alcuni versi controverso, e non privo di costi. Ma, come ha commentato il direttore della IEA Fatih Birol “i benefici sociali ed economici derivanti da un’accelerazione della transizione verso energie pulite sono enormi, mentre i costi dell’inazione sarebbero immensi”. Il 2050 si avvicina.