Le gabbie mentali che imprigionano la natura selvaggia
Di Roberto Cazzolla Gatti
Dietro la non corrispondenza tra l’aumento della copertura arborea e quello della superficie forestale è figlia della volontà di addomesticare la natura. L’assenza dei grandi predatori nelle aree protette austriache è emblematica. Riusciremo mai a fare un passo indietro e guardare con umiltà e ammirazione la natura selvaggia in libertà?
Siamo molto soddisfatti dei progressi nella tutela dell’ambiente avvenuti in Europa negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda l’aumento delle foreste. In Italia, ci han detto gli esperti, i boschi sono in netto aumento. E la stampa ha accolto con entusiasmo la notizia senza andare oltre la superficie, come spesso accade. In realtà, la situazione non è proprio così rosea, anzi verde. Infatti, ciò che è aumentata non è la superficie forestale, ma la copertura arborea che è cosa ben diversa. Confondere un insieme di alberi con un bosco è un grave errore perché si dimentica che un ecosistema forestale ha bisogno di molte specie, in relazione tra loro da molto tempo (secoli), e non basta avere alberelli nel paesaggio (l’ecologia del paesaggio andrebbe, una volta per tutte, considerata un ossimoro) per ripristinare una foresta.
ESEMPIO ECLATANTE
Per trovarne un esempio tra i più eclatanti basta volgere lo sguardo oltralpe, sul versante austriaco. Qui, il Paese della Sacher, da anni al centro di politiche verdi tra le più affermate d’Europa, custodisce buona parte della sua biodiversità in soli sei parchi nazionali e una trentina di aree regionali. Nonostante le dimensioni ridotte del territorio statale, vi sono alcune zone protette di notevoli dimensioni (relativamente alla scala europea), come i Parchi Nazionali degli Alti Tauri, Kalkalpen e Gesäuse. Qui la natura è ben conservata e i visitatori piuttosto rispettosi della sua integrità. Da queste parti, però, così come nella maggioranza dei Paesi centro-nord europei, esiste una visione molto antropocentrica e utilitaristica persino della selvaticità, ovvero di quella condizione ecologica che dovrebbe richiedere il minimo impatto umano per continuare ad essere tale. Le aree protette, infatti, sono viste più come luoghi dall’aria pura dove passeggiare allegramente. Ad esempio, anche nei parchi nazionali, è molto praticato il Nordic walking, che non è l’escursionismo naturalistico all’italiana e nemmeno il trekking all’inglese o hiking all’americana (dalle sottili differenze), ma una sorta di camminata sportiva nella natura. Nulla di male, assolutamente. È chiaro però che l’obiettivo non è apprezzare la fragile biodiversità preservata nelle aree protette, quanto fare sport domenicale all’aria aperta. Ovvero, non fa differenza che si tratti di un parco urbano o nazionale perché abbigliamento, andatura e scopi sono identici.
AVANTI SENZA GUARDARE
Ho visto centinaia di persone percorrere, bacchette alla mano come prevede la “camminata nordica”, i sentieri dei parchi nazionali austriaci con passo rapido come fossero in una sorta di competizione olimpica, tralasciando i dettagli di quella natura protetta e non degnando nemmeno di uno sguardo la Scarpetta di Venere, gli anemoni montani, gli aironi sui nidi o qualunque altra specie, oltre quella umana, fosse lì con loro. Certo, a un primo impatto, si ha l’impressione di una popolazione attiva che, anche con neonati al seguito in zaini-passeggino, non si lascia intimorire da una salita a 1500 m di altitudine, compensando (molto parzialmente e ingiustificatamente) la disattenzione agli aspetti naturali con l’interesse per la salute fisica. Poi però, giunti in vetta, anche la ragione salutistica decade: l’obiettivo vero appare chiaro ad ogni rifugio-bar, presente anche nel cuore dell’area protetta, dove i nordic walkers sono in fila per comprare birra mentre fumano (in tantissimi, visto che solo a fine 2019, in Austria, è entrato in vigore il divieto di fumo nei locali pubblici e mezzi di trasporto) una sana sigaretta di fine camminata. A questo punto, persino l’attenuante della salute decade e rende questo approccio alla natura più selvaggia e protetta davvero criticabile.
E I GRANDI CARNIVORI?
Purtroppo, è una tendenza che si sta diffondendo molto in varie parti del mondo dove non si va più nei parchi protetti per ammirare la natura, ma per camminare e stare all’aria aperta. È vero, anche queste sono ragioni per cui le aree protette vengono istituite, ma se diventano le uniche si perde il senso ecologico della tutela e si addomestica persino quell’ultimo lembo di terra rimasto selvatico. Infatti non è un caso che nessun’area protetta austriaca ospiti un grande carnivoro (come lupo, orso, lince). Nell’ultimo secolo sono stati eliminati da territori di valli e monti che ne costituiscono l’habitat ideale, per “ridurre i rischi di attacchi all’uomo” (pari a zero nel resto d’Europa dove questi carnivori vivono, in realtà) e relegati in qualche recinzione da mini-zoo (attentamente definita area faunistica per celarne la vera natura) all’ingresso dei ben più vasti territori protetti. Un paradosso impedire ad animali, che hanno bisogno di chilometri di territorio per vivere, di occupare proprio i parchi nazionali e le altre zone di conservazione per sognarle solo attraverso le maglie di reti che circondano striminzite “aree per la fauna”. E le politiche verdi austriache non si accorgono dell’assurdità. Certo, se non notano il controsenso di Spittelau sotto i loro occhi…
TOP-DOWN ANNULLATO
Tutto questo affannarsi ad addolcire la natura (approccio tipico della scuola tedesca) ha portato alla scomparsa totale del livello trofico più alto e, di conseguenza, all’interruzione di quel processo noto come effetto top-down che permette ai predatori di controllare l’abbondanza delle prede (soprattutto erbivori) che, a loro volta, controllano la vegetazione. Eliminati i top-predator, tutta la rete alimentare sotto di loro frana. Gli erbivori aumentano senza che nessuno li predi, la diversità vegetale diminuisce, gli orti vengono danneggiati da cervi, cinghiali e altri ungulati affamati e le associazioni venatorie colgono l’occasione per farsi approvare, da politici apparentemente attenti all’ambiente, permessi straordinari d’abbattimento delle incolpevoli prede, dopo aver sterminato i loro predatori. Non è questo, però, il modo di considerare la natura protetta. È proprio la mancanza di controllo, il lasciar spazio ai processi ecologici e alle dinamiche evolutive, garantendo la sopravvivenza di tutti i livelli trofici, a rendere preziosa un’area selvaggia tutelata. Se, generazione dopo generazione, continuerà a passare il messaggio che anche nei parchi nazionali l’uomo è il protagonista e la sicurezza delle sue attività viene prima d’ogni altra cosa, potremo dire addio a quel che resta della natura selvaggia d’Europa. Insieme ai magnifici camosci e stambecchi che popolano le altre vette alpine e i dolci crinali prealpini austriaci (così come nel resto del continente) dobbiamo assolutamente garantire l’esistenza dei grandi carnivori, ma anche dell’argiope, dell’ofride dei fuchi e del barbagianni.
TROPPI LUOGHI ADDOMESTICATI
Di luoghi “addomesticati” per passeggiare, urlare con la famiglia al seguito, bere birra e mangiare schnitzel ce ne sono fin troppi ed han preso il posto di ciò che ora, a fatica, si cerca di proteggere sulle cime delle montagne e in quelle poche valli sfuggite alla deforestazione e al cemento. L’etologo e ambientalista austriaco Konrad Lorenz racconta, nella sua autobiografia, che pur di non imprigionare i numerosi animali che studiava, ospiti del suo giardino nella villa di Altenberg, aveva costruito recinzioni per i figli piccoli (viste le preoccupazioni della moglie) che così potevano restare all’aperto senza “litigare” con gli altri animali. Saremo in grado, per una volta, di fare un passo indietro ed essere noi a guardare con umiltà e ammirazione la natura selvaggia in libertà, senza dover per forza raccoglierla, mangiarla, correrci all’intero, arrampicarla o gestirla?